Il rapporto tra insegnanti e studenti è al centro del dibattito politico e sociale italiano almeno dal 1968. L’epoca delle grandi rivolte studentesche, quando ormai era venuto al pettine il nodo di una distanza troppo profonda tra chi insegnava, sulla cattedra, e chi apprendeva, sui banchi. Certo, anche allora non era tutto suddivisibile in bianco e nero, basta ricordare i fatti di Valle Giulia e la conseguente denuncia di Pasolini. Ma il tema rimane ancora oggi attuale. In questa emergenza Coronavirus, l’Università di Bergamo appare una luminosa fiamma che forse, in futuro, potrà divampare in incendio. L’esempio di Bergamo ha dimostrato come la scuola sia più di una semplice istituzione: un avamposto di trincea per combattere il Covid-19. Di questo parere è Michela Agliati, componente del Senato degli studenti dell’Università di Bergamo. Una ragazza, in stretto rapporto con il Magnifico Rettore Pellegrini. A Interris.it, Michela racconta come in questi difficili mesi, l’università ha assunto un ruolo ancora più centrale nella vita di molti alunni.
La vicinanza del Rettore
Un interessante saggio di Paolo Crepet intitolato “Passione” inizia con un’analisi del sociologo sul dialogo tra gli insegnati e gli studenti delle scuole. In alcune pagine, Crepet è molto critico nei confronti di alcuni docenti colpevoli, a suo avviso, di assopire, di avvilire e di spegnere l’animo dei loro ragazzi. La scuola, per dirla ancora in termini sociologici, è un’agenzia di socializzazione (lemma alquanto orribile) che riveste un ruolo di primaria importanza. Ma spesso questa tanto vaticinata “socializzazione” lascia il passo a patologie come il bullismo o la lontananza tra chi sta alla cattedra e chi, invece, tra i banchi. A Bergamo, al contrario, il Rettore Pellegrini ha iniziato un dialogo appassionante e profondo con i suoi studenti. “Ha assunto la posizione di un secondo padre per molti ragazzi” -spiega Michela- “Dice spesso che dietro di noi c’è una famiglia con delle dinamiche che i professori non possono conoscere. Lui ha deciso di stare vicino a tutti, in tanti -continua la ragazza- mi hanno scritto dicendo che apprezzavano molto il Rettore, il quale si è dimostrato profondamente umano. Ha accolto tutte le nostre richieste” conclude.
L’Università come rinascita
La parola chiave è resurrezione. L’Università di Bergamo è diventata un simbolo di rinascita, di primavera. Nella buia tragedia, nella disperazione dei contagi e della morte, un Rettore si erge sulla cattedra virtuale con il suo ermellino sul capo e decide di prendere la mano ai suoi studenti. “Non avremmo mai immaginato -chiosa Agliati- che il rettore, il quale rappresenta per noi un’istituzione formale, potesse trasformarsi in qualcosa di così vicino. Ha scritto a tutti e 24 mila, concludendo le mail con quello che poi sarebbe diventato un esergo ‘vi abbraccio da un metro di distanza’, e con lui -continua Michela- anche i professori. Spesso di una certa età e affermati che si sono messi in gioco con le lezioni online”. Infatti, anche il Rettore racconta ad Interris.it quanto sia stato complicato per i docenti confrontarsi con un metodo sconosciuto. “Le lezioni non potranno mai essere solo online, l’aspetto umano è imprescindibile” -afferma la rappresentate del Senato. L’Università si è quindi riscontrata quale momento di solidarietà tra docenti e studenti. Un luogo di imprescindibile incontro dove emerge la possibilità di una “Sana evasione” come la chiama Michela. Il Coronavirus lascia, però, degli interrogativi pesanti: “Non sappiamo quando tutto questo finirà. Alla fine saremo tutti malati? Soffriremo?”, si chiede Michela.
Le lezioni online
Nel mentre, l’Università con tutte le sue ristrettezze burocratiche ha raggiunto quasi il 100% della didattica da remoto. I problemi di connessione ci sono e ci saranno, ma la volontà lima queste difficoltà. Ora la risposta deve arrivare dallo Stato, al quale esprimiamo il nostro plauso in un momento in cui tutti siamo chiamati a fare la nostra parte seppur minima e residuale ma comunque necessaria. Uno Stato che si deve far garante di alcune preoccupazioni per l’avvenire. Michela ci racconta di una ragazza che non riesce più a pagare l’affitto del suo appartamento a Bergamo perché il padre ha perso il lavoro. “Mi ha detto che i suoi genitori avevano fatto moltissimi sacrifici per permetterle di studiare in un polo di eccellenza. Credevano nell’importanza della cultura e dell’istruzione. Ma ora come fanno?”, conclude. Una domanda che non può cadere nel vuoto.
Al centro c’è l’istruzione e la speranza
Il Papa, durante la messa del Venerdì Santo, ha detto che è questa l’ora di smettere di investire in armi. Bisogna dirottare quei soldi verso la salute. Un messaggio fondamentale che molto probabilmente resterà tristemente inascoltato. Dopo la chiacchierata con Michela e con il Rettore, mi è venuta in mente una fantasticheria: pensate se domani verrà il grande giorno in cui la scuola prende dallo Stato tutti i soldi che vuole e l’esercito e l’aviazione devono, all’inverso, organizzare una vendita di torte per comprare bombardieri. Forse avremmo più Pellegrini e meno vittime innocenti. La scuola, l’Università, la formazione, la cultura, la professionalità, come i nostri medici ci stanno dimostrando, sono l’unico futuro su cui investire. Michela termina la chiamata con voce di speranza, direi quasi allegra, e così il suo Rettore. Le loro parole lasciavano trasparire tutta la speranza del mondo. Forse pensava a persone come loro, Victor Hugo quando ha appuntato “La Speranza è la parola che Dio ha scritto sulla fronte di ogni uomo”.