Francesca Porcellato, di Castelfranco Veneto, è un’atleta paralimpica italiana, classe 1970. Soprannominata “la rossa volante” per le sue innumerevoli vittorie e per quella sua folta chioma di riccioli rossi, gareggia sulla sedia a rotelle perché paraplegica da quando, a diciotto mesi, fu investita da un camion nel vialetto di casa.
Una vita da campionessa
Tanti le discipline sportive nelle quali si è cimentata nel corso degli anni. Gareggia sia nello Sci di fondo Paralimpico sia nell’Atletica Leggera Paralimpica, detenendo un vasto palmares di Campionati Italiani, Europei, Mondiali e Paralimpiadi. E’ una delle atlete più note in Italia e nel mondo e vanta 9 partecipazioni ai Giochi Paralimpici, sei in quelli estivi e tre in quelli invernali, conquistando 11 medaglie. È una delle poche atlete al mondo ad aver conquistato il titolo di Campionessa Paralimpica sia nelle edizioni estive che in quelle invernali. A Pechino è stata anche portabandiera ufficiale della delegazione italiana.
Atleta versatile, si cimenta su distanze che variano dai 100 mt alla maratona (vincendo, tra l’altro, quelle di New York, Londra e Parigi). Dopo i XII Giochi estivi di Atene 2004, si dedica anche allo sci di fondo paralimpico, partecipando a Torino 2006 e Vancouver 2010. Il 21 marzo 2010 conquista la medaglia d’oro nella gara di sprint.
Il mondo da una handbike
Dal 2015, Francesca Porcellato gareggia come professionista anche nel ciclismo paralimpico, con l’handbike, categoria H3. Ai Mondiali di Nottwill, prima esperienza internazionale in questa disciplina, con pochi mesi di preparazione alle spalle, porta a casa una medaglia d’oro sia nella crono che nei 42 km. Rio De Janeiro 2016 sarà la sua decima Paralimpiade.
Ma com’è Francesca nella vita privata?
Cosa vuole dire vivere con una disabilità? Francesca si è raccontata ad Interris.it in un’intervista che porta il lettore a vedere al di là della disabilità.
“La disabilità non si porta mai in maniera facile, sono delle limitazioni abbastanza importanti. Ci si impara a convivere. Io poi ho avuto una disabilità negli anni ’70, quando era ancora considerata un tabù e le persone con disabilità non venivano considerate, venivano nascoste negli istituti. Io sono stata fortunata perché la mia famiglia mi ha sempre trattata ad egual modo come hanno fatto con i miei fratelli. Allo stesso tempo però mi sono dovuta scontrare con una società che non era ancora educata all’accoglienza di persone con disabilità”.
La società è cambiata
“Ovviamente ora tutto è cambiato, si vive benissimo e certi problemi ora non esistono più. Anche se non ho avuto il problema del prima e del dopo perché quando ho avuto l’incidente ero piccolissima, ho però avuto il problema dell’accettazione personale e il problema del farmi accettare dalla società, problemi che attualmente e fortunatamente non ci sono più”.
I periodi di sconforto
“I momenti no e si fanno parte della vita di tutti noi, con disabilità o senza. Fortunatamente mi è stato donato dai miei genitori un carattere molto forte, determinato e positivo. Anche nei momenti di totale difficoltà della vita quotidiana io riesco sempre a vedere un lato positivo e grazie a questo sono riuscita ad andare avanti. Sicuramente sentirsi amata dalle persone più care fa tanto”.
Sono solo seduta su una sedia
“É una palestra di vita che ti porta a conoscere profondamente te stessa, in questo modo si riescono a superare tanti ostacoli. Ricordo ancora mio padre quando mi disse “Francesca ricordati che stai solo seduta” ed è vero perché “io sto solo seduta” poi sono una persona come tutte le altre con i miei pregi e i miei difetti. Invece quando andavo a scuola tante volte non venivo tratta come una bambina come le altre, mi facevano sentire diversa”.
Cosa rappresenta lo sport
“Lo sport ha sdoganato molto la disabilità, perché discipline come l’atletica leggera, come il nuoto, sport che ti portano in mezzo alla gente. Ti fanno capire che siamo davvero solo seduti e che la mente umana sa sopperire molto bene alle nostre mancanze. É bello vedere che i bambini vadano a scuola in carrozzina, perché in fondo siamo davvero tutti uguali. Anche le persone che mi incontrano all’inizio capita che mi guardino con un occhio diverso poi quando si rendono conto di quanto io sia autonoma allora si dimenticano la mia disabilità e questo è il regalo più bello che mi possano fare”.
Oltre ogni difficoltà
“Lo sport è socializzazione e integrazione ed è un momento di crescita sia per il ragazzo che per la famiglia, perché è anche un momento di condivisione della disabilità nel senso che aldillà del fare una disciplina sportiva, ti confronti con persone che hanno avuto i tuoi stessi problemi e stanno facendo il tuo stesso percorso. C’è una maggiore condivisione della problematica e di conoscenza della stessa”.
E poi arrivi alla meta
“Quando vinci questi premi ti senti appagata di tutti i sacrifici, un sogno che si avvera. A me piace ricordare che quando ho iniziato questo percorso tutti pensavano che fossi un po’ pazzerella. Invece ci sono riuscita alla grande. Mi piace pensare che i sogni si possono realizzare, sicuramente perseverando, con determinazione, ma niente è impossibile”.