Il peso della Santa Sede nelle relazioni diplomatiche internazionali segue da sempre la linea specifica della conciliazione. Mediazione nei conflitti, supporto ai sofferenti, sostegno spirituale laddove necessario: un atteggiamento che, di fatto, va al di là dei semplici rapporti tra Stati, con un orientamento al dialogo che, in anni recenti, ha notevolmente incrementato l’importanza della diplomazia vaticana, oltre che della figura stessa del Pontefice come voce di riconciliazione e di coscienza. Un aspetto non certo estraneo alla Santa Sede, chiaramente amplificato in tempi recenti con l’avvento di nuove forme di comunicazione, le quali hanno reso possibile una conoscenza più approfondita dei tentativi diplomatici svolti nella risoluzione dei conflitti e, soprattutto, nel dar voce alle istanze degli ultimi. Il tutto, chiaramente, subordinato al lavoro delle rispettive ambasciate.
Papa Francesco, appelli per la pace
L’apporto di Papa Francesco alla causa della pace, in Ucraina come in Terra Santa, ha trovato voce nei numerosi appelli che, dallo scoppio dei conflitti, si sono susseguiti in ogni ambito e in ogni contesto. Dalle riflessioni dell’Angelus, condivise con i fedeli di tutto il mondo, agli interventi durante i vari viaggi internazionali: in ogni occasione, il Santo Padre ha espresso il suo rammarico non solo per la difficoltà nel creare soluzioni di pace ma, al contempo, per l’apparente impossibilità di stabilire un dialogo. Un fattore che va al di là dei vari ruoli diplomatici che, per quel che riguarda la Santa Sede, perdurano con il Medio Oriente da più di un Pontificato. Proprio il 15 giugno di trent’anni fa (1993), ad esempio, il Vaticano sottoscriveva con Israele il cosiddetto Accordo fondamentale, che poneva l’accento sulle relazioni internazionali ma, soprattutto, sulla questione dei luoghi Santi.
L’Accordo fondamentale
“Lo scambio di relazioni con Israele – ha spiegato a Interris.it lo storico Alessandro Acciavatti – risale ormai al 1994 in modo effettivo. Al febbraio 2000, invece, risale la firma del concordato tra l’Olp e la Santa Sede, con il leader Yasser Arafat che venne in Italia esclusivamente per apporre la sua firma. Addirittura, il primo incontro con Giovanni Paolo II risale agli anni Ottanta”.
Tentativi di instaurare relazioni diplomatiche che, già allora, tenevano conto di un fattore che sarebbe stato, di lì in avanti, il perno di ogni mediazione: “Anche oggi la Santa Sede ha confermato la sua dottrina, ossia quella di due Stati per due popoli. Anche domenica scorsa il Pontefice, in occasione dell’Angelus, ha fatto un appello per la pace. Appelli che, tuttavia, non sono solo di circostanza. Durante la prima guerra del Golfo, in occasione dell’invasione del Kuwait, Giovanni Paolo II fece appelli per la pace in maniera molto sobria… In questo caso, il Papa si sta impegnando molto e sta facendo appelli perché la situazione si risolva”.
Giovanni Paolo II e la Terra Santa
Non è un caso che l’impegno della Santa Sede nella risoluzione dei conflitti sia subordinato a una serie di iniziative concrete. Le quali, a ogni modo, appaiono distinte a seconda dei contesti: “Il Vaticano, sulla questione di Gaza, si sta muovendo in modo addirittura più discreto rispetto all’Ucraina. Sul Medio Oriente si usa maggiore prudenza e non escludo che gli incontri in Puglia abbiano avuto anche questa tematica. Di sicuro, il Papa ha giocato un ruolo da protagonista”.
Del resto, ha spiegato lo storico, “quella tra Israele e Palestina è una questione vitale per la Santa Sede. Quando, nel 2002, venne presa di mira Basilica della Natività (obiettivo militare di Israele nell’ambito dell’Operazione Scudo difensivo, ndr), il Pontefice Giovanni Paolo II telefonò ai frati della Basilica e questo colpì molto. Allora non era usuale che un papa utilizzasse questo metodo. Nell’incontro con Bush, a Castelgandolfo, fu poi rassicurato che la posizione del governo israeliano non era quella degli Stati Uniti”.
La grande occasione
Quello di Giovanni Paolo II fu un interessamento fondamentale, anche a livello politico. Egli “teneva alla questione mediorientale tanto quanto alla sua Polonia. Il suo grande obiettivo sarebbe stato risolvere la questione palestinese”. Le sofferenze della Terra Santa ebbero un impatto anche sui palcoscenici internazionali, sia pure per questioni differenti dalla volontà di stabilire una pace duratura per scopi puramente etici. Sempre al 2000, anno giubilare, risale l’incontro tra Yasser Arafat e il premier israeliano, Ehud Barak, mediato dal presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, a Camp David: “Se quell’accordo, così come quello di Pratica di Mare che vide protagonisti Bush e Putin, fosse andato a buon fine oggi il mondo sarebbe diverso. E lì, ce lo dice la storia, fu Arafat a impedirli e perse la più grande occasione”.