Più laicato per avvicinare la Chiesa alle necessità dei fedeli. “C’è la sensazione che perduri la mentalità della ‘delega’. Per cui spesso il laico, se viene incaricato di un compito, non lo è in quanto responsabile anche lui del progetto cristiano, ma solo come ‘collaboratore’”, afferma a Interris.it il decano dei vaticanisti, Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dell’Osservatore Romano, amico e collaboratore di Giovanni Paolo II. Della riforma delle parrocchie si occupa anche ultimo numero del Regno.
L’importanza del laicato
Al Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), Francesco ha riaffermato tre mesi fa la centralità del laicato. Sui temi della sinodalità, della democrazia, della coesione sociale, dell’immigrazione, della pace. Al laicato il Papa raccomanda discernimento contro ogni forma di relativismo, ma anche di rigidezza morale. Ed esorta i laici a comprendere la complessità dei cambiamenti in atto. Il Pontefice ritiene prioritaria una riflessione sui laici. Per superare due gravi pericoli: il clericalismo e la rigidità. Valorizzando il sacerdozio comune dei battezzati. E riscoprendo il laicato come vocazione.Nella diocesi di Cefalù, la parrocchia di San Paolo Apostolo di Isnello è stata affidata dal vescovo Giuseppe Marciante non a un parroco ma a un gruppo di famiglie. Può essere un modo per superare una visione più conservatrice e “clerico-centrica” della Chiesa?
“Certo, non siamo più ai tempi della Chiesa post-tridentina. All’ abnorme sacralizzazione del sacerdozio in reazione a Lutero e alle tesi protestanti. Per cui il prete era diventato un super-cristiano e i laici, come diceva il cardinale Bellarmino, dei ‘plebei’. E non siamo più nemmeno all’Ottocento, quando in una enciclopedia cattolica si poteva leggere: ‘si ricava dai precedetti di Cristo, formulati dal Vangelo, che il clero comanda e il laico obbedisce’. E neanche ai tempi di Leone XIII che parlava di ‘gregge’. Perché il popolo aveva il dovere di ‘essere sottomesso’ ai pastori, ai ‘capi’. E di eseguire i loro ‘ordini’, di ‘rendergli onore'”.E tuttavia?
“E tuttavia all’apertura del Concilio Vaticano II, il laico era ancora un ‘minorenne’. Un soggetto misterioso. Anche il relativo schema continuava a considerarlo in una visione clericalizzata. Ma poi, approfondendosi il dibattito, tutto era cambiato”.In che modo?
“La ‘Lumen gentium’, la ‘Gaudium et spes’, e soprattutto il decreto ‘Apostolicam Actuositatem” avevano preparato la strada per una riconsiderazione del laicato. E del suo diritto a prendere parte alla missione della Chiesa in tutte le sue dimensioni”. Malgrado la contrarietà degli ambienti tradizionalisti, la Santa Sede, con un documento di tre mesi fa, ha esortato a rendere le parrocchie più attente alle nuove povertà favorendo il coinvolgimento dei laici. A chi fa paura la fine del clericalismo?
“Occorre risalire al dopo Concilio. Con il massiccio ingresso dei laici nel servizio liturgico, nella catechesi, nel campo caritativo, nel volontariato. E nell’insegnamento della religione, nei Consigli pastorali e parrocchiali. E ancora, la nascita dei nuovi movimenti ecclesiali. E, soprattutto, la rivalutazione del ‘genio femminile’. Il riconoscimento delle maggiori responsabilità nella trasmissione della fede a bambini e ragazzi. A servire all’altare, a tenere in mano i fili della carità, dell’accoglienza. E ancora più avanti”.In che direzione?
“La fioritura dei ministeri ‘di fatto’. In Italia, per esempio i ministri straordinari dell’Eucarestia, gli animatori della carità. E poi i responsabili di oratorio, i catechisti, gli assistenti o coordinatori parrocchiali. Che possono essere anche coppie di sposi e, mancando stabilmente il sacerdote, risiedere in canonica”.Eppure?
“Eppure perdura un certo clericalismo. Ci sono troppi chierici (vescovi, parroci e talvolta anche semplici preti) che decidono sempre da soli. Quasi che possiedano la verità anche sui problemi più futili, più mondani. Si guardi quanto sta accadendo in Germania. Comprensibili le perplessità di papa Frabcesco e della Santa Sede sul ‘Cammino sinodale’ della Chiesa tedesca. Dove si è arrivati a proporre una parità di diritti per vescovi e laici”. E la Santa Sede?
“C’è stato il no della Congregazione del Clero e del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, al progetto di riforma parrocchiale della Chiesa di Treviri. Progetto che prevede, oltre alla riduzione delle parrocchie, la loro gestione in modo più collegiale e partecipativo. Con più potere ai laici, dunque con l’istituzione di organi che avrebbero dovuto prendere decisioni insieme con il pastore”.Al Vicariato di Roma l’ufficio scuola e quello dell’edilizia sacra sono stati affidati a dei laici. Nella diocesi del Papa è un segno per superare un’impostazione che vuole sempre un sacerdote nei ruoli direttivi delle istituzioni ecclesiali?
“A fronte del caso Treviri, proprio dall’Italia, arrivano tutta una serie di novità positive. La parrocchia di Piano Zucchi, a Cefalù, affidata dal vescovo ai laici dell’èquipe del Servizio pastorale familiare. Il Vicario di Roma, la diocesi del Papa, che affida a laici la direzione dell’ufficio scuola e quello dell’edilizia sacra. Notizie di cui rallegrasi, ma ancora echi di situazioni isolate, che non danno l’idea di una riforma generale. Né di una piena sintonia tra i documenti pontifici e le realizzazioni locali da parte di vescovi e parroci”.Cosa serve?
“In concreto, serve un cambiamento radicale in riferimento alla figura del sacerdote e all’autorità che gli è propria. Perché è da lì, dall’esclusiva che il chierico ha nell’esercizio della ‘potestà di ordine e di governo’, che sono nate le ambiguità. E, con il tempo, ne sono scaturite le deviazioni del potere ecclesiastico. Insomma, serve una lotta frontale al clericalismo”.In quale prospettiva?
“Nella prospettiva sinodale indicata da Francesco. E di cui si dovrebbe parlare al prossimo Sinodo dei Vescovi. E cioè una riforma istituzionale delle diocesi. E, in particolare, delle parrocchie. E serve, infine, che la Chiesa gerarchica riconosca un fatto. Finalmente, e concretamente, non solo con i documenti, con le parole. E cioè che è la stessa consacrazione battesimale a rendere i laici soggetti di diritti e di doveri. Chiamandoli ad assumere nella Chiesa specifici ruoli e ministeri. A valorizzare doni e carismi, a portare le loro competenze ed esperienze”.Contro il clericalismo si è battuto anche San Giovanni Paolo II. Con quali risultati?
“Diceva san Giovanni Paolo II: ‘Sarebbe una concezione riduttiva, e anzi un errore antievangelico e antiteologico, concepire la Chiesa esclusivamente come corpo gerarchico. Una Chiesa senza popolo’”.06