“Cocomerate della solidarietà” per i detenuti nelle carceri romane. E’ la bella iniziativa ideata e organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio in risposta al forte isolamento vissuto dai detenuti durante il coronavirus.
“La pandemia da coronavirus – spiega in una nota l’associazione dalla parte degli ultimi – ha creato nei mesi scorsi grandi difficoltà nelle carceri, per l’accentuato isolamento e la mancanza di contatti con l’esterno”. La Comunità di Sant’Egidio, che da anni visita con regolarità numerosi istituti penitenziari italiani, è così riuscita ad organizzare anche per questa estate post Covid l’annuale campagna di solidarietà e di sostegno nelle carceri romane. Con nuove precauzioni e molti più limiti degli scorsi anni.
Il programma
La prima cocomerata si è svolta lo scorso 30 luglio – nel pieno rispetto delle precauzioni sanitarie – nel carcere romano di Regina Coeli. I prossimi appuntamenti sono: il 5 agosto a Rebibbia femminile. Il 20 agosto a Rebibbia maschile.
Cocomeri in dono
Le “Cocomerate della solidarietà” sono possibili grazie alla collaborazione e al generoso contributo del Car (Centro Agroalimentare Roma) che regala le angurie per i detenuti e le detenute di tre istituti penitenziari. Seicento chili di cocomeri solo per il carcere di regina Caeli. Un semplice gesto di solidarietà per non far sentire invisibili quelle migliaia di persone confinate dietro un muro.
In Terris ha intervistato Stefania Tallei, animatrice del settore carceri della comunità di Sant’Egidio a Roma. “A causa del covid quest’anno noi, come Sant’Egidio, non siamo potuti entrare a visitare i detenuti né abbiamo potuto fare i consueti colloqui per il reinserimento sociale. L’assenza dei volontari si è sommata allo stop alle visite familiari che non sono ancora riprese in presenza. Questo ha significato per i detenuti un ulteriore isolamento rispetto a quello che già vivono normalmente dietro quel muro che li divide dal resto del mondo”.
Solitudine estrema
“Una delle paure maggiori dei detenuti e delle detenute – spiega a In Terris Stefania – è infatti quella di venire dimenticati da tutti. Dietro quel muro, ci sono tante persone che non hanno nessuno che li contatti, che scriva loro una lettera o una semplice cartolina. Nessuno che telefoni per sapere come stanno, nessuno che li aspetterà fuori una volta scontata la pena. Una solitudine estrema che può portare le persone anche a compiere gesti inconsulti, dall’autolesionismo al suicidio”.
Il duplice valore della presenza
“In carcere le persone vivono la stessa povertà, affettiva e spesso anche materiale, che vivevano fuori. La vicinanza ai carcerati ha dunque un grande valore. Non solo pratico, nel portare loro quegli oggetti quotidiani che fanno fatica a reperire in carcere, sia a causa del sovraffollamento sia a causa delle poche risorse economiche che hanno a disposizione le strutture detentive. Ma, principalmente, ha un valore umano: queste persone hanno bisogno di comunicare e di sentirsi ascoltati: in definitiva, di esistere per qualcuno“.
La via del Vangelo
“Per questo, la presenza di volontari della Comunità Sant’Egidio è così sentita e apprezzata dalle persone. Molti di loro sono finiti dietro le sbarre perché sono cresciuti in contesti difficili dove l’unica proposta di vita era quella data loro dalla criminalità organizzata. Noi invece proponiamo una strada nuova, quella del riscatto, quella del Vangelo. ‘Ero in carcere e siete venuti a trovarmi’, dice Gesù. Sul suo esempio noi cerchiamo di portare una speranza a persone considerare ‘senza speranza’. Ma, per noi, nessuno è irrecuperabile“.
Legalità e fede
“Grazie alla nostra vicinanza, morti detenuti – forse per la prima volta in vita loro – si sentono amati, apprezzati, non giudicati. E scelgono così di cambiare per cercare di costruirsi una vita diversa, nella legalità e spesso anche nella fede. Noi della comunità di Sant’Egidio – racconta Stefania – in questi anni abbiamo assistito a tanti piccoli e grandi ‘miracoli‘ di rinascita!”.
Lontani ma vicini
“Ne sono un esempio – prosegue Stefania – le lettere pervenuteci durante il lockdown. Non potevamo andare a visitare fisicamente i detenuti e perciò rimanevamo in contatto scrivendo loro delle lettere alle quali rispondevano con gioia. Anzi, chi di loro riceveva qualche lettera o cartolina in più, le condivideva con quelli – sempre troppi – che invece non avevano nessuno che scrivesse loro. Un gesto di umanità da parte di chi la solitudine e il senso di abbandono lo paga sulla propria pelle, ma ha quella delicatezza d’animo che gli fa tendere una mano a chi sta messo peggio di lui. Sono cose che chi non vive la realtà del carcere, fatta di grosse privazioni – nonostante il grande lavoro che compiono quotidianamente degli operatori giudiziari – fa fatica ad immaginare”.
Le preghiere per anziani e clochard
Anche dietro quel muro che divide i due mondi – quello ‘libero’ da quello ‘ristretto’ – il senso di umana pietà (o, in senso cristiano, di pietas) non è morto. Anzi…è forse più vivo che in tanti cittadini cosiddetti liberi. Lo dimostrano le lettere ricevute da Stefania durante il lockdown. “Quello che maggiormente mi ha stupita – dice Stefania Tallei – è che i carcerati, nonostante la loro situazione difficilissima, ascoltando i telegiornali si sono preoccupati per gli anziani e per i clochard che erano maggiormente esposti al rischio di ammalarsi di coronavirus e di morire”.
Le lettere dei detenuti
Riportiamo il testo di alcune lettere di detenuti, ricevute dalla stessa Stefania, che spiegano meglio di ogni commento la pietà di queste persone, troppo spesso etichettare come “delinquenti” senza cuore. Un cuore, invece, ce lo hanno, e batte forte per gli ultimi. Forse, da questa storia, potremmo imparare qualcosa anche noi …”onesti”.
“Ho appena finito di leggere la tua lettera e ti ringrazio perché come sempre come per magia dal mio cuore svanisce quel senso di solitudine e di abbandono – scrive un altro carcerato – Per quanto riguarda il carcere, come sai i volontari non vengono più, il cappellano non dice più neanche la messa, è un periodo davvero nero per tutti, qui siamo noi e le guardie e basta tutto il giorno. Ma anche la gente fuori soffre, prego per tutte quelle persone che sono in mezzo alla strada. Non posso non esprimere preoccupazione per quello che sta accadendo e per tutte le persone indifese che si ritrovano di fronte a un’ennesima guerra. Naturalmente parlo degli anziani, che soffrono più di tutti. Riguardo ai nonnetti sono successi tanti casini, mi dispiace, però non mi hanno risposto alle lettere, rimango male, quando vai a trovarli abbracciali anche da parte mia. Grazie per quanto fate per tutti noi, solo chi è cieco non capisce che voi siete la strada che ho tanta voglia di percorrere. Spero che presto possiate rientrare tutti, c’è bisogno del sostegno morale. Almeno per me, riguardo al mio rapporto con la fede è buono e ho la consapevolezza che accanto a me c’è qualcosa di divino che mi prende per mano, altrimenti da solo non riuscirei. E’ vero che c’è la solitudine e la tristezza, ma c’è anche molto di buono che come sempre non fa rumore ma c’è e me lo tengo stretto, perché senza l’amore di Gesù ci sarebbe l’oscurità che mi fa schifo. Ti lascio con la penna ma non con il cuore“.