Ifatti di cronaca degli ultimi giorni, le immagini dei bimbi morti in mare o in mezzo alle macerie della guerra, gli echi delle storie di bambini allontanati dalle loro famiglie, il profondo disagio ed esclusione dei bambini con disabilità, le violenze che i bambini subiscono dagli adulti, le vite dei bambini che vivono nelle gradi periferie urbane, i bambini che nascono con una dipendenza dalle droghe, tutto ci porta a concentrarci su un sistema-comunità “malato”, ma spesso proprio i bambini rimangono sullo sfondo, sono oggetti e non soggetti per cui avere cura, di cui nutrire la fanciullezza, a cui offrire un futuro.
In effetti, ciò che manca è una coscienza comunitaria del diritto di ogni bambino a crescere in un ambiente sano, potendo anche definire in maniera oggettiva cos’è un ambiente sano. Ciò che garantisce ad un bambino un ambiente sano è, a mio avviso, la presenza di una coppia di genitori affettivi, una casa dignitosa, un contesto sociale circostante né deprivato né abusante. Soprattutto, per un bambino occorre quella “forza dell’amore” che è capace di prevenire oppure curare le ferite della vita, che costruisce una personalità equilibrata, che permette uno sguardo sul futuro.
In tante storie che hanno attraversato la mia vita, ho visto poche volte queste caratteristiche presenti insieme. Ho visto, invece, tante vite strappate all’innocenza, tanto dolore inferto a piccoli inermi, tante scelte scellerate degli adulti che forse adulti non sono. Vivo da oltre trent’anni nelle periferie urbane e sfido chiunque a vivere e crescere bene in quelle condizioni di degrado e di privazione. Vedo ogni giorno i bimbi in strada, fra topi e sporcizia, fra spaccio e violenza, fra baracche e liquami. Difficile estorcergli un sorriso, complicato giocare con loro, spesso in pochi anni sono diventati adulti oppure hanno già il cervello bruciato da degrado e violenza.
Spesso mi è capitato di raccogliere il loro pianto, di portarli lontano da quel degrado, qualcuno è passato da casa mia e oggi vive felicemente con una nuova famiglia; qualcuno è rimasto a casa mia, ha chiesto un posto nel cuore e non si è staccato più. Questo sguardo me lo ha insegnato don Oreste Benzi, quel prete somigliante a un curato di campagna con lo sguardo penetrante e la forza dell’amore, da cui prendo queste parole: “L'amore disarma: quando uno si sente amato del tutto, sempre, ovunque, a qualsiasi costo, non teme più, lascia cadere le armi e al posto dell'odio subentra l'amore, al posto della menzogna subentra la verità, al posto della morte entra la vita”.
Ma le ferite di questi bambini non possono scomparire, sono bombe ad orologeria pronte ad esplodere, hanno vissuto troppo e male in pochissimo tempo della loro vita e questo non si cancella. La “forza dell’amore” può lenire le ferite, ma le cicatrici rimangono lì a testimoniare quello che c’è stato e possono riaprirsi in ogni momento. Questo legame nuovo che si crea, questa “vita strappata” che tentiamo di ricucire, può chiedere tanto può “scrollarvi fino alle ossa”, può portarvi ad arrendervi, ma entra nel cuore e scorre insieme al sangue. Quell’amore così ambiguo e prepotente ti mostra una strada nuova e ti porta alla resa. Capisci di non capire e non vuoi capire più, solo amare. È un amore che nasce dalle macerie umane e proprio per questo è un amore più viscerale, profondo, complicato, spesso triste e sconsiderato. Ma quel bimbo che hai raccolto “spezzato” adesso è protetto, curato, amato.