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Il vero problema del cyberbullismo

Il vero problema del cyberbullismo è la solitudine nella quale i ragazzi si trovano a vivere quando si sentono “diversi” all’interno della comunità dei pari, senza ricevere alcun aiuto da mediatori qualificati che sappiano cogliere le loro richieste di sostegno e dare una risposta piena e competente ai loro dubbi e problemi. Chi può dimenticare il film “Il signore delle mosche” di Peter Brook, tratto dal libro di William Golding, laddove una comunità di ragazzi, scampati ad un incidente aereo, si trova a sopravvivere su un’isola deserta senza adulti, educatori o genitori che possano aiutarli nell’acquisire le regole del governo di se stessi e delle relazioni con gli altri, nel rispetto delle norme del vivere quotidiano insieme, mediando con autorevolezza i rapporti tra loro? Prevale, allora, la legge del più distruttivo, di quello che si erge a capo dei cacciatori ed inizia a disprezzare e a perseguitare, fino al crimine estremo, i ragazzi più equilibrati e, soprattutto, “diversi”: il ragazzo sapiente, grasso e con gli occhiali ed il giovane sensibile e leader, amante della giustizia e del ragionamento. Tra loro non si stabilisce alcun dialogo, soltanto lotta e contrapposizione, dileggio e persecuzione.

Limiti inaccettabili che soltanto l’ascolto, la mediazione, la formazione e le competenze degli adulti, degli educatori, dei genitori, degli operatori della comunicazione, della legge e delle istituzioni possono eliminare. E, insieme, quella tutela dei diritti che, come ricorda la “Carta di Alba” – nata nel 2009 grazie alla collaborazione tra la Fondazione Movimento Bambino, di cui sono Presidente, e la Fondazione Ferrero – “deve essere pari nel mondo virtuale come nel mondo reale, un unicum inscindibile”. La Carta di Alba denuncia, altresì, la necessità di “rafforzare una vigilanza istituzionale che assicuri un costante monitoraggio delle comunicazioni digitali per garantire ai minori un ambiente sicuro”.

Peraltro, l’educazione al virtuale è importante ed irrinunciabile, fornisce strumenti per mettersi in una condizione di equipotenza mediatica. In tal senso, basta pensare alle modalità di comunicazione delle notizie attraverso i media soprattutto televisivi e sulle campagne mediatiche diffamatorie che si registrano a fronte di poche    sole notizie positive. Quest’ultime anche di risonanza mondiale, quale ad esempio l’attività portata avanti da Greta Thunberg in difesa dell’ambiente.

L’educazione a comunicare e a comportarsi – vedi la psicologia, scienza della comunicazione e del comportamento – è a fondamento di ogni sforzo migliorativo, in quanto offre conoscenza    di sé, degli altri, dell’ambiente sociale e culturale e strumenti di azione, espressione, creatività, costruzione, impegno. Il contesto sociale è, poi, importante come fattore correlato e causale, in quanto costituisce le basi etico-culturali che possono risultare più o meno fertili allo sviluppo di un tipo di violenza come – ad esempio – quella perpetrata nei fenomeni di bullismo e cyberbullismo. Ma – e qui risiedono i motivi della estrema importanza di interventi educativi sul virtuale, sul suo utilizzo e sulla sua potenzialità – il web e la tecnologia della rete hanno un impatto anche omologante, in termini strutturali e fenotipici, della società virtuale. Pertanto, in una realtà come quella che è stata edificata nell’era informatica e della globalizzazione, hanno subìto modificazioni anche gli scenari sociali.

Il bullismo, nella veste cibernetica, trova vittime e carnefici forse anche in maniera più subdola e perniciosa, nonché trasversale alle varie realtà sociali, in quanto coglie, nella “invisibilità” e nel “mascheramento” del soggetto che agisce, un elemento di copertura o comunque di patologica percezione di inviolabilità, protezione e grandiosità.

La non conoscenza del fenomeno e la non educazione al virtuale che è, invece, necessario fornire a scuola come materia curriculare sin dalle scuole primarie, apre, dunque, di fatto una strada parallela favorevole alla dilagante realtà di abuso virtuale che di fatto c’è e persiste, l’obiettivo invece è quello di costruire una percorribilità programmatica e fattiva che risulti incidente ed oppositiva al percorso deviante e malato di cui bullismo e cyberbullismo sono una delle manifestazioni. Laddove chi è bullo e cyberbullo sta soltanto esprimendo, mascherandola la sua effettiva, profonda, perversa impotenza.

L’articolo della professoressa Maria Rita Parsi è stato pubblicato su “Il Giorno”

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