La decisione assunta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump di rivedere l’accordo nucleare con l'Iran, voluto fortemente dalla precedente amministrazione di Barack Obama e siglato nel 2015 da Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania, conferma la scollatura interna che persiste tra la Presidenza e il “Deep State” (intelligence e burocrazie interne alla Casa Bianca) nonché la scarsa lucidità sulla strategia da adottare in politica estera ed in particolare nel contesto del “vicino medio oriente”.
Circa le questioni interne occorre capire come si comporterà il Congresso che nell’arco di sessanta giorni dovrà decidere a maggioranza semplice se approvare o meno le sanzioni chieste dal Presidente, il quale ha avvertito che in caso contrario “l'accordo del 2015 sarà cancellato, in qualsiasi momento”.
A tal riguardo già autorevoli analisti paventano l’ipotesi che il Congresso, pur assumendo una posizione politica dura, alla prova dei fatti si mostrerà riluttante all’approvazione di nuove sanzioni.
Tale eventualità garantirebbe gli attuali equilibri, fortemente invocati anche da personaggi del Governo e dal capo del Pentagono, che hanno cercato in tutti i modi di dissuadere Trump, e darebbe a quest’ultimo l’opportunità di uscirne fuori a testa alta sulla questione iraniana di fronte al suo elettorato
Con riferimento allo scacchiere “vicino medio orientale” gli Stai Uniti si trovano in forte difficoltà dal momento che la guerra in Siria si è rivelata l’ultimo fallimento di una lunga serie di decisioni e azioni errate perpetrate nel corso degli anni, che per l’effetto hanno generato il rafforzamento di altri attori tra cui la Russia, che è divenuta la principale protagonista dell’area, l’indebolimento dell’alleato di ferro l’Arabia Saudita e dei suoi satelliti, nonché il raffreddamento dei rapporti con l’altro grande alleato e attore regionale la Turchia, quest’ultimo anche membro della NATO.
Tale nuova situazione, per come è ovvio, ha di fatto rimodulato gli equilibri regionali e generato nuove simmetrie come quella tra russi e sauditi i quali, con il recente incontro tra il sovrano saudita e il presidente Putin, hanno messo in piedi una serie di accordi di carattere economico, su questioni legate al prezzo del greggio e all’acquisizione da parte saudita degli S-400 russi. Oltre alle questioni economiche, questo storico avvicinamento potrebbe rivelarsi l’embrione di un nuovo corso di relazioni mediorientali all’interno delle quali l’Arabia Saudita cercherebbe la sponda russa per contenere l’Iran, impegnandosi a mantenere al potere Assad. Di contro, la Russia approfitterebbe dell’eventuale equilibrio per ritirare dall’area il suo contingente militare che inizia a pesare notevolmente sulle casse dello Stato.
Altro fondamentale tassello da porre a supporto di tale tesi, che vede primeggiare la Russia nel “vicino medio oriente”, va rintracciato nei rapporti che la Russia sta intrattenendo con Israele, alleato di ferro degli Stai Uniti, alimentati da una serie di incontri tra Putin e Netanyahu utili, anche essi, a garantire il contenimento dell’Iran.
Non è peregrino ipotizzare che la mossa di Trump nei confronti dell’Iran sia dettata dalla volontà di restituire agli Stati Uniti il ruolo che avevano nell’area e riguadagnare la fiducia degli alleati storici.
Tuttavia, dalle reazioni suscitate tra i firmatari occidentali dell’accordo che hanno palesemente espresso il loro dissenso e dichiarato di voler proseguire sulla strada
intrapresa in precedenza, si evince che tale scelta, qualora venisse confermata dal Congresso, rischierebbe di condurre gli Stati Uniti all’interno di un nuovo vicolo cieco che li porterebbe ad un pericoloso isolamento.
L’ipotesi di un eventuale attacco si rivelerebbe ancor più drammatica dal momento che l’Iran, sia per la sua posizione che per la sua conformazione che fa di esso uno dei Paesi più montuosi al mondo, non sarebbe semplice da penetrare.