In Italia una specifica normativa che regola il lavoro agile (termine coretto per indicare quello che comunemente viene definito “smart working”) è in vigore dal 2017 con la Legge n.81.
Da quando è stata varata, suscitando sulle prime parecchie perplessità, sia per la generalità delle disposizioni che per la brevità dell’articolazione dedicata, non ha avuto quell’attenzione e quell’applicazione che sembrava dovesse avere. Pochi i settori che vi hanno posto attenzione e che sono andati a introdurre le disposizioni nella propria contrattazione (settore bancario, assicurativo, grandi gruppi industriali e delle comunicazioni).
Questo, fino al febbraio 2020, quando, entrati nostro malgrado in piena pandemia, bloccandosi tutte le possibilità di svolgimento della gran parte delle occupazioni e, soprattutto, degli spostamenti (favorendo la riduzione dell’inquinamento atmosferico delle grandi città), l’utilizzo del lavoro agile è sembrata la soluzione più utile ed agevole, per conciliare la prosecuzione delle attività lavorative (anche in remoto) con la tutela dal contagio da Covid-19.
Dove il tema era già stato regolato con accordi interni alle aziende, la scelta di intensificare nei numeri l’assegnazione del personale al lavoro agile, è risultata un processo sostanzialmente lineare, mentre dove non vi era mai stata alcuna attenzione e regolamentazione sul tema, da subito, è emerso un problema di gestione e praticabilità.
Va ricordato che il lavoro agile, a differenza del telelavoro, non introduce una forma contrattuale specifica, ma è una modalità di lavoro che va ad inserirsi nell’ambito del contratto in essere del lavoratore. Pertanto, l’adesione a tale modalità non prevede che si debbano modificare i termini del contratto ma prevede solo che si precisino le regole di svolgimento.
Per definire tali regole, il legislatore ha previsto che si debba stipulare un accordo individuale tra il datore di lavoro e il lavoratore che svolgerà il lavoro in remoto. Proprio questo accordo, fin dalle prime disposizioni emanate in periodo di pandemia è stato oggetto di deroga, prevedendo in sostituzione, una mera autocertificazione da parte del lavoratore agile e una comunicazione da parte del datore al ministero del lavoro (chiamato a sua volta ad inoltrarla all’INAIL, per questioni di tutela assicurativa). In questa cornice, l’unica conferma di quanto disposto dalla normativa vigente è l’obbligo di tutela, a carico del datore di lavoro, volto a fornire al lavoratore una informativa scritta sui rischi specifici che tale modalità di lavoro può determinare. Dopo venti mesi di questa esperienza lavorativa che ha coinvolto milioni di lavoratori e lavoratrici del settore pubblico e privato, si possono analizzare alcuni aspetti propri della modalità, risultati positivi ed altri che hanno fatto emergere alcuni ostacoli o dubbi applicativi, significativi anche per quello che sarà l’utilizzo della modalità di lavoro agile in futuro.
Sgombrando il campo da quello che è il perimetro di applicazione della normativa sul lavoro agile, fuoriuscendo dal concetto limitato dello svolgimento del lavoro da casa, rimanendo nei termini ampi previsti di una prestazione lavorativa resa all’esterno dei “locali aziendali” e, peraltro, “senza una postazione fissa” e “senza precisi limiti di orario”, sono molti gli aspetti che richiedono riflessioni profonde e, sicuramente, una revisione normativa che vada maggiormente a fondo delle questioni non risolte.
Molti sono gli aspetti che richiedono una regolazione più puntuale e definita (ad es. il diritto al buono pasto, il diritto a ricevere la strumentazione informatica, la libertà, più o meno, assoluta del luogo dove svolgere il lavoro agile, il diritto alla disconnessione…).
Guardando, invece, alla scelta della modalità di lavoro agile, non è opportuno affrontare tale decisione bilanciando in modo teorico i lati positivi e quelli negativi. Perché tale valutazione deve necessariamente tenere conto delle esigenze/opportunità del lavoratore che intende poter usufruire di tale modalità, ma dall’altro delle disposizioni organizzative dell’azienda e la capacità di questa di gestire i lavoratori in remoto, sempre comunque partendo dal dato insostituibile del poter svolgere le mansioni in modalità agile.
Uno degli aspetti sui quali occorre porre molto attenzione è sicuramente, tra gli altri, il considerare il lavoro agile la modalità di lavoro migliore per le donne e, in particolare, per le mamme o per chi ha da assistere i propri congiunti. Il lavoro agile non deve essere una modalità che porta le donne a rimanere chiuse nelle loro case, nascondendo dietro l’immagine della facilitazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, la mera duplicazione del lavoro, determinato dall’occupazione e dagli oneri familiari. Lo stesso, non deve essere individuato il lavoro agile come unica forma di reinserimento lavorativo per le persone con disabilità o fragilità particolari se durante la pandemia, tale soluzione è apparsa sicuramente adeguata e di garanzia per la tutela della salute e sicurezza, a partire proprio dai lavoratori fragili, questo non deve divenire una facile soluzione per i datori di lavoro per ricollocare gli occupati con in-idoneità alla mansione.
Per questo, occorre che si avvii un percorso di confronto costante e aperto, e di lavoro congiunto tra le parti sociali, le istituzioni competenti e il legislatore, al fine di poter affrontare in modo adeguato tutte le questioni correlate al tema, giungendo ad una normativa completa, che comunque demandi alla contrattazione la declinazione specifica, per ciascun luogo di lavoro, mansione e lavoratore.
In questo senso, come poter trascurare quanto l’esperienza maturata in questi quasi due anni ci ha aperto gli occhi su una serie di problemi che dovranno essere necessariamente regolati. Ricordiamo, di recente, l’attacco degli hacker avvenuto attraverso un computer di un impiegato della regione Lazio durante il lavoro svolto in modalità agile, così come anche i tanti lavoratori che hanno avuto problemi di connessione, di spazi dedicati a disposizione, di strumentazione adeguata a poter gestire flussi di dati, nel rispetto della privacy e della riservatezza delle informazioni di proprietà dell’azienda.
Se non si può in alcun modo pensare che l’esperienza del lavoro agile si concluderà quando usciremo definitivamente dallo stato emergenziale, con altrettanta certezza dobbiamo ritenere che tale modalità di lavoro non dovrà essere svolta in modo esclusivo (come invece il contratto da telelavoratore prevede). Ma offrendo la possibilità che possa essere praticata in modo misto, cogliendo le opportunità che tale forma consente, garantendo le tutele e i diritti, ma non rinunciando al valore aggiunto che il lavoro in presenza offre, sia per l’equilibrio e la socialità della persona, ma anche per non determinare forme di discriminazione tra i lavoratori quanto tra essi vi sia chi per ragioni diverse non può svolgere lavoro agile.