Papa Francesco ci ha tenuto a sottolineare spesso che tutto è interconnesso. E’ proprio così: lavoro, ambiente e futuro sono strettamente collegati. L’emergenza climatica ci dice che dobbiamo ridurre in maniera drastica le emissioni di anidride carbonica se vogliamo evitare il rischio di un disastro globale con un aumento di temperatura superiore ai 2 gradi centigradi. Per questo ci siamo dati come Unione Europe l’obiettivo di arrivare a zero emissioni nette entro il 2050. Ciò vuol dire cambiare profondamente stili di vita delle famiglie e stili di produzione delle imprese. Il sentiero della transizione ecologica è la via obbligata per le imprese per essere competitive e creare lavoro nel futuro perché chi si troverà fuori da questo sentiero rischia di essere fuori mercato. La transizione ecologica creerà più posti di lavoro (green jobs) di quanti ne distruggerà ma richiederà un adeguamento forte delle competenze e delle professionalità perché, anche in tutti i lavori tradizionali che conosciamo oggi, bisognerà saper valutare le conseguenze delle nostre scelte sull’ecosistema e sulle diverse dimensioni della sostenibilità (adattamento e mitigazione climatica, qualità dell’aria e dell’acqua, economia circolare, salute degli ecosistemi).
Inoltre dobbiamo sempre ricordare che i primi a pagare l’emergenza climatica sono i più poveri perché hanno meno mezzi e risorse per proteggersi dalle calamità e dagli shock. Il riscaldamento globale inoltre sta rendendo sempre meno vivibili le zone dell’Africa subsahariana creando il fenomeno delle migrazioni climatiche. Lavorare per la sostenibilità vuol dire anche ridurre un fattore di fragilità e di rischio per i più poveri. Essenziale poi che i costi delle politiche per la sostenibilità non siano pagati dai più deboli evitando anche proteste sociali contro la transizione (come accaduto in Francia con i gilet gialli). E’ questo ciò che si intende quando si parla di “transizione giusta”. Ambiente, lavoro e futuro dunque sono intimamente collegati.
La transizione ecologica richiede di intervenire nei settori cruciali per la produzione delle emissioni come la produzione industriale (soprattutto in alcuni ambiti chiave come cemento, acciaio, plastica dove le emissioni sono più difficili da abbattere), la mobilità e i trasporti, l’agricoltura e l’allevamento, la produzione di energia e il riscaldamento /affrescamento delle case. Il 110% è un forte incentivo economico creato dal governo per la transizione in quest’ultimo ambito. C’è però bisogno di un intervento altrettanto forte per incentivare gli investimenti green che sostituiscono vecchi processi produttivi energivori con nuovi processi produttivi più sostenibili. Sarà fondamentale anche il giusto rapporto tra intervento pubblico e intervento privato. Allo stato si chiede l’investimento diretto nelle infrastrutture per la transizione, quelle in cui il settore privato non troverebbe redditizio investire oltre che l’incentivazione verso gli investimenti privati green.
Il traguardo della sostenibilità verso cui stiamo muovendo non è un ritorno al passato. Nel mondo del futuro ci dovranno essere sobrietà e stili di vita sostenibili ma tutto questo dovrà essere aiutato da moltissima tecnologia.
Fondamentale in questa transizione il ruolo di noi cittadini. Non pensiamo che la transizione sia possibile senza la cittadinanza attiva. Le nostre scelte di consumo e di risparmio saranno fondamentali e devono essere un voto col portafoglio per aziende e prodotti ambientalmente sostenibili e ad alta dignità di lavoro.