Mentre il premier Mario Draghi è impegnato in prima persona nell’accelerazione della campagna delle vaccinazioni (che è la sola alternativa ad una resa senza condizioni ai lockdown di vario colore), il titolare del Mef, Daniele Franco ha trascorso la sua “prima volta’’ in audizione al Senato della Repubblica, per presentare lo stato dell’arte sul PNRR. I tempi sono limitati: mancano meno di due mesi alle scadenze poste da Bruxelles, ma, come è ovvio, sarebbe sbagliato ‘’consegnare il compito’’ all’ultimo minuto, prima che suoni la campanella, senza neppure rileggerlo. Poi c’è da lavorare su di un testo già predisposto dal precedente governo: e cambiare un documento è più complicato che riscriverlo di sana pianta. Ma Franco intende essere onesto e non caricare tutte le responsabilità su chi c’era prima.
“Il Parlamento in questi mesi – riconosce il ministro – ha svolto un prezioso lavoro di interlocuzione con Istituzioni e Parti sociali, i cui esiti, attraverso le risoluzioni che le due Camere voteranno nelle prossime settimane, potranno essere tenuti in debita considerazione nella fase finale di redazione del Piano, guidandone le scelte fondamentali. La piena e trasversale condivisione strategica del Piano è infatti necessaria per assicurare stabilità e ownership in questa e nella prossima legislatura’’.
Già perché il Piano ha un’espansione nei prossimi sei anni; gli obiettivi e gli impegni che si assumono adesso – e che entrano in sinergia con le risorse che saranno stanziate in stretta condizionalità con il crono-programma definito – saranno vincolanti anche per i futuri governi (per questo motivo è che incoraggiante il varo del PNRR sia effettuato da un esecutivo e da una maggioranza parlamentare tanto rappresentativa come l’attuale). “La predisposizione del Piano e la sua realizzazione – avverte Franco – sono tuttavia un’opera complessa. Condizione fondamentale per il successo del Piano è predisporre un documento dai contenuti ambiziosi, ma credibili e dettagliati, che definisca anche le specifiche modalità operative. Per l’Italia ciò implica un cambio di passo nel modo di impiegare le risorse che anche in passato l’Unione europea ha messo a disposizione attraverso i Fondi Strutturali’’.
E qui emergono i veri rischi che corre l’Italia e cioè di non essere in grado non solo di spiegare come dovuto gli obiettivi che intende raggiungere, ma anche di allocare ad ogni step le risorse erogate (siano esse sussidi o prestiti). Infatti – ricorda il ministro – il sistema Paese ha sulla coscienza lo spreco dei Fondi strutturali. ‘’Con riferimento all’ultimo ciclo di programmazione, ad esempio, i fondi UE hanno consentito di attivare nel nostro Paese interventi per oltre 73 miliardi di euro. Tale ciclo si concluderà alla fine del 2023; a quasi due anni dalla fine sono state impegnate – ecco l’handicap – risorse per soli circa 50 miliardi e, di questi, ne sono stati spesi poco più di 34. Si tratta di un tasso di utilizzo molto contenuto, che riflette una scarsa capacità del nostro Paese di assorbire – è l’amara conclusione – in modo efficace – i fondi europei nei tempi previsti.
L’Italia – denuncia il ministro – ha un cronico problema di crescita: da più di due decenni l’economia italiana cresce sistematicamente meno di quelle degli altri paesi sviluppati, frenata dalla stagnazione della produttività. Dal 1995 il prodotto per ora lavorata è cresciuto in Italia di appena il 7 per cento contro il 26 per cento dell’area dell’euro nel suo complesso. Il PIL pro capite italiano, che a parità di potere di acquisto nel 1995 era di 9 punti superiore a quello medio dell’area dell’euro, nel 2019 era inferiore di 10 punti. Inoltre, la pandemia ha colpito un’economia ancora fortemente indebolita dalle due recessioni che si sono susseguite nell’arco di pochi anni: nel 2019 il PIL italiano era ancora di quasi 4 punti percentuali inferiore al livello del 2007.
Ecco perché per il nostro Paese il progetto Next Generation EU è una occasione molto importante. Rende possibile affrontare alcuni problemi strutturali che affliggono la nostra economia da tempo in modo coordinato e con rilevanti mezzi. Si materializza così quell’intreccio di spinte propulsive che il Ngeu può produrre non solo sul piano economico e sociale, ma anche su quello politico. L’Istituzione Europa fa un passo avanti. E l’Italia conferma la sua scelta irreversibile. Come ha affermato Draghi in Senato tracciando i confini del suo governo. ‘’Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa’’.
Oltre al nodo strutturale della crescita a livello aggregato, il nostro Paese soffre di forti eterogeneità lungo diverse dimensioni: territoriali, generazionali e di genere.
Nelle regioni del Sud vive un terzo della popolazione ma vi si produce solo un quarto del PIL. Il tasso di occupazione è di oltre 20 punti inferiore a quello delle regioni del Centro-Nord. Il PIL per abitante è pari a circa il 55% di quello medio relativo alle regioni del Centro-Nord; da circa 40 anni il processo di convergenza si è arrestato. Il divario si è ampliato nel corso degli ultimi anni: l’effetto negativo delle recessioni a cavallo del primo decennio del secolo è stato più accentuato al Sud, anche in conseguenza di un massiccio crollo degli investimenti.