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Perché chi segnala per primo un’epidemia non viene creduto

Come descritto nei Promessi Sposi del Manzoni e nella Peste di Camus, chi segnala per primo la possibile epidemia spesso non viene creduto e anzi contrastato, così come avvenuto del resto per il giovane medico eroe Li Wenliang che ha per primo intuito la presenza in Cina di una nuova malattia. È altresì importante rimarcare che spesso (purtroppo) nelle situazioni di emergenza sanitaria, come avvenuto del resto anche in occasione del Covid-19 nel periodo in cui sembrava confinato in Cina, si tende a vedere la malattia come qualche cosa di estraneo, che riguarda un altro Paese, come trapela anche dall’appellativo inizialmente conferito alla malattia, appunto la “polmonite cinese” nel caso del Covid-19, o l’“asiatica” nell’epidemia del 1956.

Si tende poi in un certo senso a demonizzare i Paesi dove l’epidemia è originata, in quanto responsabili della diffusione della malattia; basti ricordare l’ostilità generatasi all’inizio della pandemia di Covid-19 verso i ristoranti cinesi e ogni attività commerciale in qualche modo riferibile alla Cina. Questo clima si è riproposto quando l’epidemia ha iniziato a diffondersi nel Nord Italia; abbiamo assistito infatti ad atteggiamenti ostili, quali esclusione da hotel, divieti di sbarco eccetera, verso cittadini provenienti dalle regioni in cui si riteneva che il contagio avesse avuto origine, come la Lombardia e il Veneto. La risposta alle epidemie nell’era moderna non è così diversa da quella documentata nel Medioevo. L’allontanamento dalle zone d’Italia dove il coronavirus circolava in modo più evidente (ad esempio in Lombardia), per spostarsi presso seconde case in zone ritenute più sicure, ricorda molto l’“allegra brigata” del Boccaccio che si era ritirata nella campagna toscana per sfuggire alla peste (atra mors) del 1348 secondo la logica del cito, longe, tarde, vale a dire fai presto, fuggi lontano e torna il più tardi possibile.

L’epidemia Covid-19 ha fatto tuttavia emergere anche comportamenti virtuosi, quali il rispetto del “rimanete a casa” da parte degli italiani, che hanno così dimostrato un grande senso di responsabilità di fronte all’emergenza pandemica, consci che fosse necessario supportare con il proprio comportamento le misure di contenimento decise dalle istituzioni. Un tratto peculiare di questa epidemia è il ruolo rilevante assunto da internet – che ha portato qualcuno a parlare di “infodemia” – e in generale la rapidità con cui i mezzi di comunicazione hanno consentito la diffusione delle informazioni fornite soprattutto dalla comunità scientifica, con risvolti positivi ma anche qualche criticità.

Debbo riconoscere, essendo stato coinvolto in questo processo di trasmissione di informazione, che i giornalisti hanno assunto un ruolo veramente importante nel tradurre in termini comprensibili per l’opinione pubblica concetti spesso molto complessi sul piano tecnico relativamente al virus e alla malattia, in una sorta di alleanza con gli uomini di scienza. Inoltre, una grande mole di dati scientifici è arrivata per la prima volta non solo dalle riviste peer-reviewed, ma anche attraverso studi caricati su piattaforme che non prevedono un processo di preliminare revisione. Questo ha sicuramente facilitato un rapido accesso alle informazioni, ma ha altresì consentito la diffusione di dati non sempre attendibili e replicabili.

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