Esistono alcune parole che, nell’attuale scenario in Italia, vengono spesso usate dai politici e dai mass media in modo per lo più improprio. E’ possibile notare che diversi e determinati vocaboli sono inflazionati e che sono usati in modo scorretto. Populismo è un termine che può rappresentare al meglio questa distorsione politico-mediatica; almeno in questi anni populismo è una delle parole maggiormente abusate nella scena politica e mediatica nazionale. Quale definizione dare? Se partiamo dal “movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia” tra il 19° e 20° secolo, il populismo “si proponeva di raggiungere un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba”. Dai dizionari riportiamo: atteggiamento o movimento politico tendente a esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari. Atteggiamento demagogico volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità.
Beppe Grillo e il Movimento Cinque Stelle nel Parlamento, sono i rappresentanti più riconosciuti del “populismo” nel discorso politico italiano. Attenendoci dunque al significato proprio e originario di questo termine, non vi troviamo assolutamente niente di negativo o di criticabile, mentre quando chicchessia usa questa parola oggi, riscontriamo che le conferisce un significato dispregiativo, confondendola di fatto con un’altra parola, che in realtà è demagogia.
Ma come reagisce il cittadino, la gente comune, quando legge questa descrizione fatta da un alto responsabile delle istituzioni? Secondo il Governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco: “Per l’economia italiana sono stati gli anni peggiori della sua storia in tempo di pace. Le conseguenze della doppia recessione sono state più gravi di quelle della crisi degli anni Trenta”. Questo passaggio è preso dalle “Considerazioni finali alla Relazione annuale della Banca d’Italia 2016” illustrata di recente dal Governatore. Queste frasi hanno una forza dirompente e non possono non lasciare quasi attonito il cittadino/lettore, forse perché sottolineano le grandi difficoltà reali che in questo momento storico vive L’Italia. Il nostro Pil è ancora inferiore del 7% rispetto al livello di inizio 2008. Il tutto mentre sui giornali ci raccontano che il prodotto interno lordo è in ripresa. Se però confrontiamo il dato con il livello minimo raggiunto allora si deduce che lo è.
Funziona allo stesso modo del tasso di disoccupazione; nel 2008 era pari a 6,7%, poi è arrivato nel 2014 al 13% per toccare attualmente l’11,7%. Così come, se ripercorriamo la storia economica italiana dal 2008 ad oggi, tutte le cause supportate da numeri incontrovertibili tornano. Tanto che le maggiori debolezze di questi anni da dimenticare sono sempre le stesse per il Governatore: debito pubblico e crediti deteriorati. In altri termini, un indebitamento in salita. Complici la crisi e la solita mancata crescita del Pil i bilanci delle banche piuttosto vulnerabili.
Quali sono state e sono le ricette della politica e dei partiti? Spesso sono state evanescenti, perché il dibattito si orienta sulla lotta interna al Pd, sullo scontro interno al centrodestra e sulla incapacità di governare dei grillini. Ecco che un tale dibattito quotidiano e in televisione finisce per fare crescere l’onda del populismo all’italiana. Adesso, dopo le elezioni amministrative, abbiamo visto proliferare una miriade di “liste civiche fai da te” con il personaggio noto sul territorio, ma con poche persone impegnate per servire realmente la Politica, con la P maiuscola– come chiede Papa Francesco- e forse molte persone disposte a servirsi della politica con la p minuscola.
Altro tema che fa sostenere le tesi di chi pratica il populismo è il lavoro. Nella Dichiarazione di Visco si commenta che si è ampliato il divario tra la qualità del lavoro offerto e l’aspirazione del lavoratore, tra le condizioni di precarietà e il desiderio di stabilità lavorativa, diminuendo progressivamente gli standard minimi di qualità della vita. Un dato per tutti: alla fine del 2016, tra i giovani con meno di 30 anni, circa il 25% (un terzo nel Mezzogiorno) non aveva lavoro né partecipava a un percorso formativo.
E’ vero che incidono i processi educativi e il ritardo nell’accogliere la rivoluzione digitale e tecnologica in atto. Tuttavia, se solo volessimo tutelare il nostro patrimonio artistico e culturale, il lavoro non mancherebbe di certo. Occorre che lo Stato aumenti la spesa pubblica nell’interesse generale. Sono tanti altri i temi critici, tra tutti, l’immigrazione e la mancanza di una reale politica dell’accoglienza. Assistiamo a improvvisazione e superficialità con appalti a cooperative di aree politiche vicine che lucrano sulla disperazione degli immigrati utilizzando i fondi dello Stato. Immigrati in capannoni a bivaccare tutto il giorno, molti vanno via, mentre continuiamo a pagare. Ricordiamoci di Mafia Capitale: ” ….si guadagna di più e più facilmente con gli immigrati che con la droga e …….” Di fronte alla sfida impegnativa di consolidare il cammino di ripresa appena iniziato, si Governatore di Bankitalia afferma: “I cambiamenti richiederanno tempo, impegno, sacrifici”.
In realtà questi ultimi dieci anni, sono stati tra gli anni più duri in tempo di pace. A nostro avviso, chiedere altri sacrifici agli Italiani, non porterà a nessun risultato e a nessun consenso. Nel nome dell’innovazione, della stabilità dei prezzi, della competitività del nostro Paese o di qualsiasi altra necessità, ci associamo a chi implora, ancora pacificamente: basta sacrifici per i più diseredati e fragili e basta a perpetuare le grandi diseguaglianze sociali.
Prof. Etica professionale e Relazioni industriali- Strategie aziendali Politecnico di Torino
Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria della Produzione e dell’Innovazione tecnologica