Ci sono molte solide ragioni per criticare le politiche migratorie di questi anni. Ci sono molti argomenti per stigmatizzare l’indifferenza e l’inazione dell’Europa e di alcuni Paesi membri in particolare. Ma non c’è un motivo al mondo per sovrapporre piani distinti. L’impegno umanitario è il pilastro di quell’universo di valori non negoziabili che connotano l’Italia come nazione civile. L’ha detto, con straordinaria intensità, ancora Papa Francesco dinanzi a quella tragedia, in occasione della sua visita a sorpresa a Lampedusa, con parole di grande impatto politico, come Massimo Franco racconta in “Il Vaticano secondo Francesco”.
Il Mediterraneo è vita, storia, cultura, umanità. Non poteva, né può essere, morte, afflizione, indifferenza, vergogna. Chi sostiene che dovremmo alzare le spalle, e cavarcela con l’assistenza minima o con le solite dichiarazioni retoriche, rinnega la nostra identità e ha un’idea della politica e dell’impegno civico che non mi appartiene, né mai mi apparterrà. E’ evidente che Mare Nostrum non era sufficiente. Ed è altrettanto chiaro che la materia rientra in un fenomeno tra i più complessi del tempo in cui viviamo.
C’è una parte di mondo, la più povera e in difficoltà, che spinge, sotto di noi, per sopravvivere o anche solo avere la propria opportunità nella vita. Milioni di individui in movimento, una pressione smisurata che è miope, oltreché vergognoso, pensare di arginare con la logica dei respingimenti o a colpi di populismo, all’insegna del più becero “se ne stessero a casa loro”. E’ una spinta epocale, figlia delle trasformazioni geopolitiche degli ultimi decenni. A differenza che nel Novecento, però, quando gli Stati Uniti erano il Paese meta dei maggiori flussi migratori, è l’Europa a essere oggetto di questa pressione.
Il terremoto continua senza soste dalla fine della guerra fredda e ha oggi come epicentro principalmente l’Africa e il Medio Oriente. Di fronte a tutto questo la fatica nel trovare risposte condivise è lampante e rispecchia l’incapacità dell’incapacità dell’Unione di farsi comunità politica con un patrimonio di valori comuni e un’identità ben riconoscibile. Da questo, soprattutto, deriva a mio parere la difficoltà di raggiungere un giusto equilibrio tra le esigenze diverse di Paesi con tradizioni e politiche molto lontane sul versante dell’integrazione e dell’accoglienza.
La distanza profonda tra l’approccio “nordico” e quello di Paesi mediterranei, con uno scontro valoriale tra i principi di responsabilità e solidarietà, finisce con il rendere immobile l’Unione, alla quale del resto gli strumenti giuridici della Convenzione di Dublino non bastano più. Da qui i compromessi faticosi, da qui le scelte sempre al ribasso.