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Perché continuerà la crisi catalana

Il discorso di Carles Puigdemont davanti al parlamento catalano non ha convinto davvero nessuno. E’ sembrato fatto apposta per guadagnare tempo ma non so se Rajoy glielo concederà. A prima vista, dalle reazione che arrivano, sembrerebbe di no. Le parole del presidente della Generalitat sono apparse un gioco semantico, retorico: “Accolgo il mandato del referendum per creare uno Stato ma sospendo automaticamente questa dichiarazione di indipendenza per dare un’opportunità al dialogo”. Non ha convinto né quanti volevano subito una dichiarazione chiara, né coloro che volevano che si fermasse. E’ rimasto in mezzo.

Che succederà adesso? E’ quello che si chiedono tutti. Dipenderà dalla reazione di Madrid che da quanto posso vedere non è disposta ad accettare questo gioco. Sembra che il governo centrale voglia applicare misure ma anche questo è problematico perché non siamo di fronte a una dichiarazione di indipendenza con effetti concreti. Sembra quasi una partita a chi sbaglia per primo. Ma nel frattempo c’è l’altra parte, quella non politica, non retorica che è l’economia reale la cui pressione può essere terribile. Già ci sono tante compagnie che hanno lasciato la Catalogna, vedremo quello che succederà nei prossimi giorni.

Una cosa però è chiara, e non è piaciuta per niente al governo centrale. Puigdemont ha dato validità ai risultati del referendum. Una consultazione in cui ha votato circa il 40% degli aventi diritto e senza garanzie. Ma per il presidente catalano i risultati sono validi e questo è difficile da accettare per la comunità internazionale, anche per quanti possono avere simpatie per gli indipendentisti (non tanto in Europa…). Diranno che si deve fare un referendum vero e proprio, non una votazione come questa. Ma Madrid non potrà mai accettarlo senza cambiare la Costituzione. E il problema è proprio questo: se i catalani vogliono riformarla, devono trovare il sostegno politico necessario. E al momento solo Podemos potrebbe appoggiarli, il resto dei partiti no. Quindi non è che il governo o la Corte costituzionale dicano che è impossibile ma si potrà fare solo se c’è un consenso interno in Spagna, in Parlamento per cambiare la Costituzione. Questo è il punto più rilevante, una posizione da cui il governo non si sposterà di un centimetro. Perciò gli indipendentisti dicono di dover seguire questa via unilaterale che tuttavia è illegale… un circolo vizioso senza via d’uscita.

Nè appare possibile una mediazione dell’Unione europea. Non credo sia realizzabile perché l’Ue non può entrare a mediare tra uno Stato membro e una sua regione. Sarebbe un precedente pericoloso che domani potrebbe ripetersi tra le Fiandre e Bruxelles o tra il Veneto e Roma.

Per questo una soluzione è ancora lontana. Senza dubbio Puigdemont ha evitato di fare dichiarazioni forti che avrebbero scatenato l’immediata reazione di Madrid. La sua mossa rende difficile un intervento duro del governo centrale, che forse il resto del mondo ora troverebbe ingiustificata in mancanza di una dichiarazione d’indipendenza formale. Penso che gli indipendentisti abbiano evitato di forzare la mano perché sanno che sono soli in Europa e sanno anche che l’indipendenza non potrebbe essere effettiva: non sarebbero in grado di controllare le frontiere, non hanno un sistema fiscale pronto e così via.

La crisi catalana continuerà ed è davvero presto per dire come andrà a finire. Forse sarà l’economia ad avere un ruolo decisivo: se la gente continuerà a spostare i propri risparmi, sarà un colpo devastante per la Catalogna di cui anche i rappresentanti locali dovrebbero prendere atto rinunciando alle loro aspirazioni.

Corrispondente in Italia del quotidiano La Vanguardia di Barcellona

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