Ormai il fenomeno mafioso nei molteplici aspetti e nelle diverse nomenclature è molto diffuso e va oltre i confini della Sicilia e dell’Italia stessa fino a radicarsi in territori una volta insospettabili e in tutti gli ambiti legati soprattutto al potere economico: mercato della droga, sfruttamento della prostituzione, vari tipi di racket dall’usura al pizzo, infiltrazioni nella vita politica e gestione del potere a livello locale e nazionale. Negli ultimi decenni in seguito anche al grave e ripetuto manifestarsi dell’esclusiva natura criminale e dell’estrema pericolosità sociale delle organizzazioni mafiose e, conseguentemente, al crescere di una diffusa coscienza collettiva di rifiuto di forme di tolleranza e di pur tacita e passiva connivenza col fenomeno, è maturata nella Chiesa una chiara, esplicita e ferma convinzione dell’incompatibilità dell’appartenenza mafiosa con la professione di fede cristiana. E’ compito della Chiesa sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno.
Per la maturazione di questa mentalità sono stati importanti gli interventi dei vescovi e dei papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, che hanno contribuito alla interpretazione e alla condanna della mafia a partire dalle tradizionali e originali categorie cristiane. La Chiesa, in forza della sua stessa missione, rivolge ai mafiosi l’appello alla conversione. Tuttavia essa deve vigilare affinché l’esercizio del ministero di annuncio della misericordia di Dio non sia strumentalizzato dal mafioso, ad esempio durante la sua latitanza, e non si configuri, di fatto, come copertura o favoreggiamento di quanti hanno violato e talvolta continuano a violare la legge di Dio e quella degli uomini.
Nel caso del mafioso, la conversione comporta un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia. Nel suo appello alla conversione la Chiesa non può non fare presenti le esigenze proprie della conversione cristiana e quindi non ricordare, anche ai mafiosi, che la conversione non può essere ridotta a fatto intimistico ma ha sempre una proiezione pubblica ed esige comunque la riparazione. Nel caso del mafioso, la conversione non potrà certo ridare la vita agli uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante di ingiustizie e violenza; anche con l’indicazione all’autorità giudiziaria di situazioni e uomini, che se non fermati in tempo, potrebbero continuare a provocare ingiustizie. La mancanza di una tale indicazione da parte del mafioso convertito, oltre a configurarsi come atto di omertà, sembra ignorare il dovere della riparazione.
C’è un nesso tra peccato di cui ci si pente e pena da assumere in espiazione del peccato. Nel caso di peccati legati all’appartenenza mafiosa, la “soddisfazione” del peccato sia da vedere anche nelle pene sancite dalla condanna detentiva della magistratura, alle quali perciò il mafioso convertito potrebbe cercare di non sottrarsi. Una novità è emersa dalle parole pronunciate da Papa Francesco a Sibari il 21 giugno 2014; c’è l’esplicita condanna del comportamento mafioso con la commissione individuale di determinati atti criminali tipici della mafia ma anche la stessa appartenenza all’organizzazione mafiosa. Il Pontefice non mette solo in evidenza il peccato grave in cui si trovano i mafiosi. Egli dice che questa condizione di peccato dei mafiosi è anche un delitto penale che comporta la scomunica, perché c’è l’idolatria, l’adorazione del male, del denaro che prende il posto dell’adorazione per il Signore.
Il Papa coinvolge nello stesso atto di condanna sia la ’ndrangheta che la mafia, la camorra come la sacra corona unita e le altre forme di criminalità organizzata di stampo mafioso, come a voler dire che si tratta di piaghe che non conoscono cittadinanza. Il Papa vuole sottolineare che, oltre alla commissione di specifici delitti, è l’esser di per se stesso un mafioso che costituisce un delitto e necessita di una pena canonica: la privazione dei funerali religiosi, la scomunica. Mentre alcuni si chiedono se in un contesto di secolarizzazione la scomunica sia efficace ed opportuna, altri ritengono che sia opportuno estendere a livello di legge universale la pena di scomunica per il delitto di appartenenza mafiosa e i relativi atti criminali, andando oltre i confini di una regione, non essendo più da considerarsi solo una piaga locale.
L’eventuale legge penale universale, dovrebbe contenere una configurazione del delitto canonico di mafia la più ampia possibile, appunto perché il fenomeno assume oggi contorni globali. La scomunica è una pena medicinale, è un monito in vista di un possibile ravvedimento. Alla comunità cristiana si richiedono dei gesti originali che portino ad una prevenzione dei reati collegati col fenomeno mafioso impegnandosi per la diffusione di una cultura della legalità e all’educazione a non fare del denaro e della ricerca smodata del potere gli idoli a cui sacrificare tutto a partire dalla vita delle persone. La resistenza alla mafia esige un rinnovato impegno educativo che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti.