I più significativi appuntamenti con la fede non sono mai avulsi dal contesto nei quali sono immersi, tant’è che il dibattito che si è sviluppato anche quest’anno sul Santo Natale non costituisce un’eccezione; anzi il fenomeno pandemico ha fortemente condizionato le scelte e le aspettative dei momenti di festa.
Non più dunque le domande ultime, la rotta del destino umano, il senso del limite e del timore di Dio, ma una invasiva secolarizzazione che cerca di appropriarsi dello spirito che non ha più la forza di coniugare fede e ragione e di guardare all’Oltre. I vasti recinti che stabilivano il confine inclusivo della gioia, della solidarietà e del farsi carico delle immanenti difficoltà di chi fa fatica a rialzarsi sembrano cedere. Si assiste cioè ad una vera e propria crisi che sembra irreversibile , gettando disordine e scompiglio.
Ma vi sono crisi che, come afferma Dominique Barthélemy, prete domenicano francese e studioso biblico, possono trasformarsi in inaspettate opportunità. La più evidente riguarda gli ebrei deportati nel VI secolo a.c a Babilonia dove hanno dovuto affrontare la loro peggiore crisi in terra straniera ormai senza tempio, senza re e senza terra. Proprio la mancanza del tempio ha irrimediabilmente avvicinato la loro fede più al trascendente che al rituale del culto.
Un nuovo approccio che si ritrova ancora oggi nella fede cristiana: una svolta epocale nata da una crisi apparentemente senza alcuno sbocco. Il Covid che non allenta ancora la presa riveste i contorni di una crisi che anche di fronte ad un appuntamento di fede mostra la sua forza distruttiva. Allora diventa necessario chiedersi se il valore del Santo Natale possa ritenersi affievolito o snaturato anche per la ragione che non è accompagnato dalla sontuosità delle luci, dallo stare insieme senza restrizioni, dalla vasta schiera delle persone dedite allo shopping, dalle paure provocate dal Covid che né le scienze mediche, né la tecnologia avanzata hanno scalfito ed infine dal dolore innocente attraversato da un virus subdolo e dirompente capace di ribaltare verità di fede consolidate.
Edith Stain diceva: “Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no“. È tempo quindi di indossare gli scarponi chiodati per evitare che la nostra esistenza deragli verso una vita parcheggiata in attesa che la buriana passi. In questa direzione non c’è crisi o pandemia che possano sbiadire il messaggio di Cristo.
La nota frase di Dostoevskij “La bellezza ci salverà?” insegna che si tratta della bellezza redentrice di Cristo, della possibilità di imparare a vederLo, a conoscerLo ed a incontrarLo. Nell’appuntamento del Santo Natale si ritrova la speranza per osare e riprendersi con responsabilità la propria esistenza, recuperando la centralità di Cristo rispetto a temi importanti che spesso sembrano sostituirlo.