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Perché le misure anticovid infiammano il dibattito politico

Alla fine governo e maggioranza sono riusciti nell’impresa. Perché d’impresa si è trattato, pur essendo di fronte a materia spinosa e fortemente impattante, quali sono le norme per affrontare l’emergenza sanitaria. Detto fuor di metafora la mancanza del numero legale alla prima votazione in Aula, non è stata una bella pagina per l’esecutivo guidato dal premier Conte e la coalizione che lo sostiene. Il particolare non può prevalere sull’intesse generale. E la sensazione data da quell’enorme vuoto nell’emiciclo è stata esattamente quella. Alla fine il decreto è arrivato.

Non è chiaro se colma la distanza con la percezione che il Paese ha dell’emergenza sanitaria, o se serve solo a tenere ancora l’esecutivo lontano dalla resa dei conti con le cose fatte, poche, e quelle promesse, tante. Certo è che stavolta Palazzo Chigi ha deciso di spuntare le unghie alle Regioni, come se fossero loro il problema principale. Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri proroga lo stato di emergenza sino al 31 gennaio 2021, ma riduce i poteri dei presidenti di Regione sul contenimento del Covid. Questi potranno emanare solo ordinanze restrittive rispetto a quelle del governo e non più allentare i divieti. Insomma, un freno al regionalismo diffuso e alla voglia dei governatori di fare gli sceriffi.

Il provvedimento regola anche l’uso delle mascherine all’aperto, prorogando al 31 ottobre i termini della cassa integrazione in deroga contenute nel decreto legge Rilancio 14 agosto 2020 e allunga la vita del Dpcm del 7 settembre in scadenza alla mezzanotte di mercoledì. Insomma, una sorta di meccanismo ad incastri per tenere in piedi uno schema di gioco non del tutto chiaro, visto che Palazzo Chigi dà l’impressione di procedere al buio, avendo solo come faro la strategia della paura. Sulle mascherine, il testo approvato, parla di obbligo di «avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, con possibilità di prevederne l’obbligatorietà dell’utilizzo nei luoghi al chiuso accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto, e in tutti i luoghi all’aperto allorché si sia in prossimità di altre persone non conviventi».

Sono esclusi dall’obbligo «i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva; i bambini di età inferiore ai sei anni e i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina, nonché coloro che per interagire con i predetti versino nella stessa incompatibilità». Una sorta di compromesso al ribasso, in modo da lasciare la porta aperta all’italica furbizia. Il decreto del presidente del Consiglio, il cui iter si era inceppato per via delle troppe assenze a Montecitorio connesse con il virus, resta valido fino al 15 ottobre «e comunque non oltre».

La novità, come detto, è «l’obbligo di avere sempre con sé un dispositivo di protezione delle vie respiratorie» e di indossarlo «nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto, e in tutti i luoghi all’aperto allorché ci si trovi in prossimità di altre persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli anti-contagio previsti per specifiche attività economiche, produttive e sociali, nonché delle linee guida per il consumo di cibi e bevande». Dall’obbligo sono esclusi «i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva», i bambini fino ai 6 anni, le persone la cui disabilità sia incompatibile con l’uso della mascherina e i loro accompagnatori (se impossibilitati a indossarla).

Nel decreto, poi, si sottolinea come la curva dei contagi in Italia dimostri che il virus provoca sul territorio nazionale «focolai anche di dimensioni rilevanti», il che giustifica secondo il governo la scelta di prolungare lo stato di emergenza. Da sottolineare come non vi sia nessun inasprimento delle sanzioni, per chi viola le regole anti-contagio, incluso l’obbligo di tenere la mascherina all’aperto contenuto nel decreto approvato in Consiglio dei ministri che contiene le misure ponte- molte in vista del nuovo dpcm. Le multe vanno da 400 a 1000 euro e sono quindi di entità uguale a quelle previste nei precedenti provvedimenti per la gran parte delle violazioni delle norme anti-Covid, come quella anti-assembramenti.

Il via libera da parte della Camera, dopo il sì al Senato (con 138 voti favorevoli, 2 contrari e 12 astenuti, e l’assenza del centrodestra), alla risoluzione della maggioranza sulle comunicazioni svolte in Aula dal ministro della Salute, Roberto Speranza, sulle misure di contenimento del Covid19, mette il governo, almeno per il momento in sicurezza. I sì sono stati 253, i no 3, gli astenuti 17. L’opposizione non ha votato. Si tratta del terzo voto in merito alla proroga dello Stato di emergenza al 31 gennaio 2021 e alle nuove misure contenute nel Dpcm, dopo che per due volte martedì scorso non è stato raggiunto il numero legale anche a causa degli onorevoli in quarantena dopo i due casi Covid accertati a Montecitorio. Un brutto segnale da chi dovrebbe dare il buon esempio. Gli italiani, in fondo, i compiti a casa li stanno facendo.

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