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Mes e riforme, la strada obbligatoria per ripartire

Come è stato più volte ripetuto sui media, nel corso di questi ultimi mesi, la pandemia generata dal virus Sars-Cov-2 ha avuto un forte impatto non solo sulla vita delle persone ma anche sulle attività economiche, generando una profonda crisi che, però, ancora non si è manifestata nel pieno della sua forza per via delle azioni di contrasto temporanee messe in campo dai vari stati.

Qualcuno dirà “ma chissenefrega dell’economia quando è in gioco la vita di milioni di persone” e, nel comune senso, non avrebbe torto se non che la tanto vituperata economia è quella che genera le risorse non solo per sfamare e riscaldare la gente, nell’inverno boreale che si sta avvicinando, ma anche per finanziare la ricerca medica e mantenere in funzione ospedali e presidi di pronto intervento. È un discorso freddo, in effetti, ma purtroppo più attuale che mai. Per queste ragioni varrebbe la pena provare ad immaginare cosa sia successo e di capire cosa stia per accadere.

Come già si è detto su queste pagine l’epidemia che ha colpito l’Italia e il mondo intero ha rappresentato un vero e proprio “cigno nero”, cioè un evento improvviso e inaspettato che ha un grande impatto sistemico, sull’economia causando non solo un calo di domanda e di offerta in moltissimi settori, come logico del resto fosse anche solo per le misure di contenimento della malattia come i vari lockdown organizzati ai quattro angoli del globo, ma un peggioramento delle aspettative dei vari operatori che si traducono in un crollo di consumi e investimenti generalizzato.

Questo va a impattare su tutte le prospettive di crescita come già indicato da FMI e Eurostat, ad esempio, qualche mese fa mostrando la caduta di tutti gli indici sia a livello europeo sia a livello mondiale. Ora, nonostante gli allarmi su una possibile “nuova ondata”, dal lato del FMI le previsioni, seppur gravi, sembrano meno fosche.

Il PIL mondiale è previsto in calo del 4,4% a fine anno, con un miglioramento di circa 60 bp sulla rilevazione precedente, e anche quello italiano subisce un miglioramento previsionale di circa 220 bp passando da -12,8% a -10,6% che, comunque, rappresenta una contrazione pesantissima e gravissima.

A parte la Spagna e la Grecia, la previsione italiana è la peggiore del continente con la sola Francia che si avvicini con un previsionale a -9,8% ma con tutti gli altri Paesi membri e non (come la Svizzera) con risultati prospettici sempre di forte recessione ma con cali molto più contenuti (tra -5% e -6%, ad esempio, gli altri paesi confinanti con la penisola).

Una cosa che dovrebbe far pensare, poi, è l’impatto sulla disoccupazione il prossimo anno, una volta che i provvedimenti per evitare licenziamenti in massa saranno esauriti con fine anno; l’FMI prevede un aumento di quasi 2 punti percentuale del tasso di disoccupazione e, di conseguenza, un aggravio per le casse erariali nel tamponare questa nuova emergenza tramite ammortizzatori sociali una volta che il Reddito di Cittadinanza verrà rimodulato e, definitivamente, eliminato. Perché dico questo?

Perché per poter attingere ai finanziamenti del Recovery Fund occorre presentare un piano delle riforme che deve essere validato dalla Commissione Europea con doppia maggioranza qualificata (per teste e per rappresentatività) e sul tavolo per l’Italia ci sarebbe sia l’addio a quota 100, già annunciato al termine della sperimentazione, sia la “revisione” del Reddito di Cittadinanza che, nonostante la propaganda dei militanti pentastellati, finora ha mostrato ben pochi risultati pratici a contrasto della disoccupazione.

Se da un lato le stime, se pur da bollettino di guerra, sulla crescita sembrano mostrare un miglioramento dall’altro quelle sul debito pubblico qualche dubbio in più lo farebbero anche sorgere. Nel 2019 il rapporto debito/PIL per l’Italia era pari al 134,8%, al 31/12 la stima più verosimile lo dà, oggi, al 161,8% e si dovrà aspettare il 2021 per iniziare a vederlo calare al 158,3% per giungere tra cinque anni al 152,6%. Questo cosa significa?

Significa che stante il crollo dei consumi, della produttività e del saldo della bilancia commerciale dovuto sia al periodo di lockdown, sia alle restrizioni seguenti per il contenimento dei contagi, sia al già citato crollo delle aspettative, la componente del PIL che ne ha frenato la caduta è stata la spesa pubblica in continua crescita e che, poi, si è riversata in maggiore deficit (13% sul PIL quest’anno e 6,2% prospettico il prossimo… che attenzione sarebbe anche un dato piuttosto buono visto il crollo del denominatore del rapporto previsto per il 2020).

Questi numeri indicano in modo inequivocabile come un nuovo lockdown non sia nelle corde di nessuno, men che meno per l’Italia, e anche solo ipotizzarlo e preannunciarlo per ottenere qualche minuto di notorietà in più, come sta facendo qualcuno oggi, contribuisce a peggiorare il clima e ridurre le capacità di ripresa una volta che la crisi sia finita.

Per queste ragioni l’accesso ai fondi europei diventa di fondamentale importanza per rilanciare gli investimenti e per ridurre la servitù del debito che, a sua volta, significa il poter rientrare il più velocemente possibile su un sentiero di crescita sostenibile ma questo sarà del tutto inutile se non mutasse anche un certo atteggiamento verso il mondo imprenditoriale da parte di alcune forze politiche oggi in maggioranza perché se, da un lato, non è vero che un’azione diretta dello stato in economia sia sempre dannosa è vero che un clima di sospetto verso l’impresa privata, che è il vero creatore di ricchezza, significa solo scoraggiare nuovi investimenti e di qui impedire una ripresa sostenuta di produzione, occupazione e, di conseguenza, di reddito.

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