Sono stato a trovare in Emilia Romagna un mio amico sacerdote, ricoverato in una clinica convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale. Quando si entra in un ospedale la prima, cattiva, impressione deriva dagli odori, spesso sgradevoli e associati ai farmaci. In questa casa di cura si ha, invece, la sensazione di trovarsi in un hotel a quattro stelle: tutti i particolari sono curati. Dagli ampi saloni all’ingresso all’accettazione. E tutti gli ambienti sono grandi ed aperti. Le infermiere e le assistenti sono sorridenti e gentili e potrebbero essere a ragione confuse con delle hostess.
La cosa mi ha talmente incuriosito che, mentre attendevo il termine del delicato esame clinico cui si era sottoposto il mio amico, ho girato per circa un’ora, visitando i vari reparti e ciò che in un ospedale saremmo costretti a chiamare corsie, per poi concludere “l’ispezione” al bar e nella Chiesina. Mi chiedo: ma perché, in Italia, le strutture sanitarie pubbliche non possono essere tutte curate e accoglienti come questa clinica? Perché si presta così poca attenzione e rispetto al malato che purtroppo troppo spesso viene considerato è trattato come un cittadino di serie B?
Eppure è scontato che la nostra umanità presto o tardi ci costringe tutti, anche da giovani e non solo in età avanzata, a essere bisognosi di cure e assistenza. Questo dover preoccuparsi degli altri, in difficoltà, non rientra nel più generale diritto alla salute, garantito dalla nostra Carta Costituzionale? In questo settore non occorre solo garantire le cure, ma servono anche progetti e interventi concreti perché sia assicurata la prevenzione; non bastano forme di assistenza che abbiano a cuore l’efficienza, la specializzazione nella somministrazione dei farmaci e delle terapie ma occorre anche assicurare al cittadino-paziente strutture dignitose. Solo così il già difficile periodo di una malattia potrebbe riuscire a non ferire l’anima in un corpo già sofferente.