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Il più grande errore commesso da Zelensky dal 24 febbraio

Chissà quanto ci metteranno, le truppe ucraine, ad arrivare a destinazione. Stupisce la loro velocità, e stupirebbe ancor più se non si tenesse conto di una cosa: la loro non è una semplice guerra di liberazione, ma una vera e propria epopea nazionale. Si crea, adesso che i carri dilagano oltre il Dnepr verso i vecchi confini, il mito fondativo di un popolo che questo attendeva da circa quattro secoli: la Russia era ancora Moscovia, che già l’aveva sottomessa. Non c’è stato il tempo, per l’Ucraina, per sentirsi se stessa, nemmeno per un solo giorno.

Forse è per questo che Zelensky ha firmato il decreto che impedisce ogni trattativa con Vlad l’Impalatore: da uomo di teatro e di lettere qual è, sa benissimo che ha l’occasione di passare ai posteri come un nuovo Cid Campeadeor. Il quale Cid, a grattar bene la scorsa dell’epica per arrivare alla polpa della storia, lo stesso fece: generare il mito della Reconquista a costo di spargere sangue che poteva essere risparmiato. Ecco che Volodymyr dei Campi di Battaglia compie il suo più grande errore dal 24 febbraio. Perché così facendo ha messo sabbia negli ingranaggi della diplomazia, ora che il Papa si poneva indirettamente come forza mediatrice (e Parolin questo si era offerto di fare fin dallo scorso luglio). Risultato: aumenta il pericolo nucleare, laddove sarebbe stato il momento di tenere la pressione bassa. Aumenta, non si crea, perché il Cremlino fin dall’inizio ha sventolato la Bomba come fosse un gagliardetto, e gli Usa adesso trattano con la Polonia per creare, a loro volta, qualche rampa.

Pace, pace. Chi è contrario alla pace? Nessuno. Soprattutto ora che come nel ’62 o come nel ’73 allerte nucleari ci tolgono il sonno. Attenzione però: giusto chiedere la pace, meno giusto dimenticare che qualcuno, in passato, Putin lo indicava a modello e guida internazionale. Non si tratta di puntare indici o dare voti. Si tratta di avere memoria, perché una buona memoria è la miglior medicina contro errori futuri. In piazza per la pace sì, va sempre bene. Molto meno bene è finire strumentalizzati.

A giudicare dalla piega che hanno preso gli eventi, solo il freddo potrà bloccare le controffensive ucraine. Il che lascia immaginare che da qui alla fine del mese, prima che arrivi il ghiaccio, in molti tenteranno di chiudere la pratica. Anche a Washington, dove incombono le elezioni di metà mandato. Si pensi a che effetto potrebbe avere la foto di un soldato con la bandiera gialla e azzurra che sventola su un cartello con su scritto “Confine”.

Pensiamo, quindi, al dopo: non per eccesso d’ottimismo, ma perché in una condizione così di movimento tutto è possibile, anche doversi chiedere che farsene della Russia. E allora ci si ricordi che Putin non è l’unica causa del macello, anche se è la prima. Perché Putin incarna una certa parte della Russia: nazionalista, autocratica, fascistoide. Ma una parte importante. Soprattutto, una parte che ha prosperato grazie agli errori americani e occidentali degli anni ’90, quando si credeva (ebbri com’eravamo di un’altra vittoria, quella dell’’89) che bastasse portare il mercato per portare stabilità. Da questa riflessione occorre ripartire, perché ad est del Dnepr si potrebbe, per noi, aprire l’Est dell’Eden. Quello dove Caino fu mandato a vagare.

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