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Ex Ilva, il rilancio nell'ombra

Quando la televisione smette di occuparsi di un problema (oppure lo fa solo marginalmente perché è catturata da altre notizie) c'è il rischio che di esso non si parli più. E’ il caso del colosso di Taranto, lo stabilimento ex Ilva. La questione che si trascina ormai da anni, come si sa, è condannata a muoversi sue due distinti percorsi che non sono, come diceva un tempo un grande statista, Aldo Moro, ‘’convergenze parallele’’, bensì linee che si incrociano, anzi, una si mette di impegno per tagliare la strada all’altra. Fuor di metafora, le iniziative che governi, sindacati, hanno condotto a 360° gradi per anni hanno sempre dovuto fare i conti con un convitato di pietra: la magistratura tarantina.

La via negoziale e quella giudiziaria hanno sempre proceduto in direzioni opposte secondo – come si dice adesso – un loro cronoprogramma con scadenze tra loro scoordinate. Non per cattiva volontà dei vari gestori dell’ex Ilva (venuti dopo l’esproprio della famiglia Riva) ma per due ineludibili circostanze di fatto: i magistrati stabilivano a tavolino le loro decisioni limitandosi a consultare un calendari; chi aveva in gestione la fabbrica era costretto a tener conto delle difficoltà economiche e produttive di uno stabilimento siderurgico, abbandonato a sé stesso. Anche in questi ultimi giorni di pena, la magistratura (nel frattempo è scesa in campo anche la madre di tutte le procure e di tutti i tribunali: quelli di Milano) è arrivata prima della politica. A questo punto, tuttavia, come nei romanzi popolari della belle époque, è necessario fara un passo indietro.

Il 20 dicembre scorso le parti, ovvero da un lato AM InvestCo, la società costituita ad hoc da ArcelorMittal, e dall’altra i Commissari, di nomina governativa, dell’Ilva in Amministrazione straordinaria, avevano raggiunto un gentlemen's agreement, ovvero un accordo non vincolante che, come veniva specificato nel comunicato che lo annunciava, costituiva “la base per continuare le trattative riguardanti un piano industriale per Ilva, incluso un investimento azionario da parte di un ente partecipato dal Governo”. Piano che, a sua volta, avrebbe dovuto prevedere “investimenti in tecnologia verde da realizzarsi anche attraverso una nuova società finanziata da investitori pubblici e privati”. Questo annuncio di buona volontà stabiliva che tali negoziati “proseguiranno fino a gennaio 2020”. Così il tribunale civile di Milano aveva ritenuto di rinviare al 7 febbraio l’udienza relativa al ricorso d’urgenza presentato dai legali dei Commissari straordinari. Ricorso che, come si ricorderà, si opponeva al recesso dal precedente contratto di affitto di ramo d’azienda annunciato da ArcelorMittal, dopo che ad avviso della società franco-indiana erano venute meno le condizioni pattuite per l’acquisizione (tra le quali la soppressione dello ‘’scudo penale’’).

Essendo ancora in corso un reticolo di negoziati (sia con Arcelor Mittal, sia con qualche altro possibile interlocutore cinese) sarebbe opportuno che tra pochi giorni il Tribunale concedesse un ulteriore rinvio. Come ha dichiarato in una recente intervista Giuseppe Sabella, il direttore di un Think Tank che si occupa di lavoro e che segue da anni la pista dell’ex Ilva con la tenacia di un cane da tartufi: ‘’ Ho sempre sostenuto che a Mittal non c’era alternativa e che Mittal non voleva lasciare Taranto a tutti i costi. Cercava un’intesa, oggi vicinissima, per ridiscutere il piano industriale dopo la revoca dello scudo penale che, di fatto, ha creato le condizioni per questa discussione. In questo, bisogna riconoscere che Conte e Gualtieri hanno fatto un buon lavoro predisponendo un’operazione di rilancio importante della ex Ilva’’. Quanto alle basi della possibile intesa: ‘’la cosiddetta area a caldo – ha aggiunto Sabella – sarà affiancata da un’area green che produrrà  attraverso due forni elettrici e la tecnologia DRI (gas, idrogeno e monossido di carbonio). Ciò ha il pregio di innovare la produzione e di avviare una rilevante fase di decarbonizzazione’’. Si sa che a fianco dei funzionari del dicastero dello Sviluppo economico, sono entrati in campo dei collaboratori del ministro Gualtieri. Certo. l’affaire ex Ilva è stato declassato sui media dalle elezioni regionali dapprima, poi dalla pandemia ‘’coronavirus’’. ù

Ma non avere addosso i fari dell’opinione pubblica, attraverso le lenti deformate dei talk show, può essere un vantaggio. Rimane il problema dei giudici. Che cosa decideranno il 7 febbraio? Speriamo che abbiano capito che non esiste una ‘’via giudiziaria’’ in grado di far girare le macchine negli stabilimenti e ad alimentare gli altiforni. E che il principio “iustitia fit, pereat mundus” è un’assurdità; perché non c’è alcun bisogno di giustizia in un mondo senza più vita.

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