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Energia ma quanto ci costi?

Che le bollette italiane siano particolarmente onerose, per non dire pesanti, non è un mistero per nessuno ma un nuovo faro su di esse è stato acceso nei giorni scorsi dal segretario del Partito Democratico, Elly Schlein, che ha dichiarato all’Ansa: “Abbiamo il costo dell’energia più alto in Europa. Imprese e famiglie soffrono ed è incredibile come questo Governo per due anni non abbia fatto nulla”.

Fin qui sembrerebbe che la cosa rientri nella solita polemica politica ma una cosa interessante esce dalle proposte dichiarate nella seconda parte dell’intervento dove dice “abbiamo due proposte: la prima è disaccoppiare, come hanno fatto in altri paesi, il prezzo dell’energia dal prezzo del gas e abbassare i prezzi a imprese e famiglie, poi noi proponiamo un grande acquirente unico pubblico, un gigantesco gruppo di acquisto pubblico che, lavorando su ampi volumi, può trattare abbassando il prezzo per imprese e famiglie […]”.

La questione è assai interessante e colpisce piuttosto bene l’immaginario pubblico ma vale la pena di analizzarla punto per punto. Innanzitutto, è vero che il costo dell’energia qui sia il più alto d’Europa?

In realtà non è necessariamente il più alto ma è tra i più alti, primato che il Paese, si contende, principalmente, con Danimarca, Germania, Belgio e non molto distante da altri Stati membri dell’Unione; questo non è, sicuramente, un podio allargato di cui vantarsi ma rappresenta un male diffuso che va compreso fino alle origini prima di poter ipotizzare una qualche soluzione.

È vero, poi, che il Governo non abbia fatto nulla? Anche qui c’è un’inesattezza, poiché questo governo e il precedente esecutivo Draghi sono stati molto reattivi rispetto alla crisi sul prezzo del gas e sulla riduzione degli approvvigionamenti dalla Russia, a seguito della guerra in Ucraina, andando ad “aprire altre strade” per l’approvvigionamento così come nel mettere in campo delle agevolazioni temporanee volte a favorire i nuclei famigliari con i redditi meno elevati, si poteva fare di più? Certamente ma ci vogliono tempo e risorse, quello che finora è stato molto scarso ma si può lasciare ancora il beneficio del dubbio sul fatto che qualche piano strutturale, valutando le dichiarazioni di importanti membri della maggioranza parlamentare attuale, sia in fase di progettazione.

Veniamo adesso alle soluzioni proposte che sono efficaci, certamente, a livello comunicativo, soprattutto verso i soggetti con una certa visione politica, ma alquanto improbabili a livello di attuazione allo stato attuale del mercato.

Sì, si parla di mercato perché quando la maggior parte del fabbisogno energetico deriva da centrali a idrocarburi (alimentate per l’82% da gas naturale, va sottolineato) o dall’importazione difficilmente potrebbe essere possibile scindere il prezzo dell’energia elettrica (come credo intendesse la Schlein) da quello del gas anche perché il sistema italiano, non avendo fonti proprie, eccettuata la quota da energie rinnovabili (soprattutto dall’idroelettrico), è palesemente price taker e, quindi, subisce il livello dei prezzi che si forma sul mercato internazionale e non è nelle possibilità di una forza politica poter agire sui prezzi finali se non a discapito della fiscalità generale.

Stessa cosa si potrebbe dire per l’acquirente unico pubblico: in un sistema di mercato libero è un’assurdità anche solo pensare a un intermediario unico in più, un grossista pubblico per intenderci, da cui tutti gli intermediari finali dovrebbero rifornirsi per poi cedere sul mercato il servizio agli utenti finali, oltre che comportare un elemento di inefficienza, annullando anche certi vantaggi competitivi di aziende, come Eni ad esempio, che sono sia produttori sia rivenditori, che, per contro, potrebbe portare a un ulteriore incremento dei prezzi, direttamente o indirettamente, perché, non esistendo “pasti gratis”, qualcuno il costo di questa struttura dovrà pagarlo.

Però una cosa importante è stata sottolineata: che è il costo eccessivo dell’energia nel Paese che rappresenta anche uno degli svantaggi competitivi più pesanti all’interno del sistema economico. Le domande che sorgono, ovviamente, sono due a questo punto: da cosa è dovuta questa situazione e come fare a migliorare lo stato delle cose.

Partiamo dalla prima. Il prezzo dell’energia discende da due fattori principalmente: politiche energetiche folli e ideologiche nel passato; carico fiscale eccesivo.

Nel primo caso si stanno scontando ancora le decisioni prese a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novante del secolo scorso, con l’abbandono del nucleare e l’ingenuo abbaglio per le fonti rinnovabili, principalmente e erroneamente intese come solare e eolico.

Chiudere il programma nucleare, a seguito dei timori suscitati dall’incidente di Tchernobyl (ma impensabile in qualsiasi altro stato al mondo poiché dovuto a un errore di progettazione dei reattori RBMK che erano utilizzati esclusivamente nell’ex Urss), è stato sicuramente un errore strategico fondamentale, privando sia della possibilità di produrre energia, almeno parzialmente, pulita e in quantità con lo sfruttamento delle centrali già attive e con la realizzazione di altre e creando degli ingenti costi che tutt’oggi sono sostenuti per via fiscale.

Anche la corsa all’uso delle fonti rinnovabili, poi, ha contribuito a creare dei centri di costo importanti perché, mentre l’idroelettrico (che è la principale e più performante fonte rinnovabile utilizzata) sconta un’importante limitazione fisica poiché le valli dove creare degli impianti efficienti e sicuri sono ormai utilizzate quasi totalmente, l’impianto di centrali solari ed eoliche su larga scala, quando sarebbe più efficiente la microgenerazione domestica diffusa, ha portato a impegnare grandi capitali e a sostenere costi ricorrenti elevati, sia per la manutenzione sia per garantire il backup in caso di calo fisiologico della produzione sia per la creazione dei centri di stoccaggio dell’elettricità in eccesso tramite nuclei di accumulazione.

Tralasciando l’impatto ambientale delle installazioni e della produzione di generatori e accumulatori, che è notevole e non palesemente inferiore a quello dell’utilizzo degli idrocarburi in impianti di ultima generazione, i costi supplementari sono anch’essi spalmati sulle bollette per via fiscale andando a gonfiare le bollette in maniera importante.

Di qui la forte dipendenza dell’Italia dai prezzi che si formano sul mercato sia per il gas, che è il principale combustibile utilizzato per alimentare le centrali elettriche e i riscaldamenti, sia di quello dell’elettricità che si importa per soddisfare il fabbisogno nazionale non completamente coperto dalla produzione autoctona.

Arriviamo, ora, al punto più penalizzante relativa al costo dell’energia cioè quella fiscale. Mentre sul costo della materia prima e gli oneri di rete e di trasporto c’è poco da dire, anche se un efficientamento della rete sarebbe auspicabile per contenere dispersioni e costi in generale, dal lato delle altre componenti, cioè oneri di sistema, accisa e IVA, sarebbe opportuno un ragionamento ulteriore.

Innanzitutto il livello dell’IVA che è al 10% per le utenze domestiche e al 22% per le altre, visto che si sta parlando di un settore strategico per l’economia l’imposizione IVA andrebbe rivista, almeno dl lato domestico, postandola magari in esenzione poiché i privati non possono scaricare l’IVA come, invece, è possibile per le aziende eliminando anche la distinzione fra prima casa e seconda casa oltre che la limitazione a 1’500 kWh  (o per i primi 480 mc/anno per il gas) per l’applicazione dell’aliquota minima soprattutto in vista di un possibile passaggio all’alimentazione elettrica anche per la cucina e il riscaldamento, come previsto, attualmente, dalle norme europee.

Poi c’è l’annosa questione sull’accisa, presente anche sulle utenze energetiche e non solo sui carburanti che, al di là del suo apporto totale sul costo, è anche una base imponibile IVA, creando così l’assurdità di vedersi applicata un’imposta su un’imposta, con una doppia tassazione che non so se abbia eguali al mondo.

L’ultima componente, gli oneri di sistema, non parrebbe dal nome essere un elemento fiscale ma di fatto lo è avendo la struttura di un tributo (ma almeno è esente dall’applicazione dell’IVA) e rappresentano il vero problema nella struttura del costo finale dell’energia per gli utenti.

Questi comprendono: incentivi alle fonti rinnovabili, di fatto socializzando i costi per l’installazione dei generatori eolici e fotovoltaici; compensazioni territoriali, cioè gli indennizzi per le comunità locali che abbiano centrali nucleari o infrastrutture energetiche sul proprio territorio; agevolazioni per clienti vulnerabili, cioè la compensazione per le riduzioni tariffarie alle famiglie con basso reddito; agevolazioni per le aziende energivore, cioè la socializzazione dei costi supplementari che dovrebbero essere imputati alle imprese le cui lavorazioni richiedano un elevato apporto energetico; copertura dei costi di gestione del mercato elettrico e della sicurezza della rete, che è un doppione dei costi di rete che già vengono imputati.

Chiunque abbia mai analizzato la sua bolletta ha ben presente come questa sia la parte veramente penalizzante nel computo del prezzo finale dell’energia, cioè la socializzazione di costi che, in realtà, non hanno una vera e propria motivazione a livello economico quanto, piuttosto a livello politico e qui, è vero, nessuna forza politica ha voluto “metterci le mani” nel corso degli anni.

Eliminando gli incentivi alle fonti rinnovabili, ad esempio, questi oneri potrebbero essere tagliati, da un giorno all’altro, di circa un quarto del loro peso poiché un famoso detto, attribuito a Enrico Mattei sostiene che se un progetto fosse realmente conveniente non avrebbe bisogno di incentivi per essere realizzato mentre se li richiedesse per essere attuato allora, probabilmente, non sarebbe così vantaggioso o sostenibile. Ora, in fase di start up poteva avere un senso l’inserimento di una spinta rappresentata da un vantaggio fiscale ma, dopo decenni di incentivi socializzati tramite bollette, sarebbe ora di valutare se questi siano ancora necessari e, nel caso, cominciare a ipotizzare altre strade.

Stessa cosa per le compensazioni territoriali che dovrebbero essere negative, cioè non un vantaggio per chi accetti le installazioni energetiche ma uno svantaggio per chi le rifiuti così come la copertura dei costi di gestione del mercato e delle reti che già sono finanziati mediante gli oneri di rete già presenti in bolletta.

L’unica voce che abbia un vero senso mantenere è quella relativa alle agevolazioni per le famiglie a basso reddito, come esempio di sussidiarietà e di solidarietà ma sul resto sarebbe opportuno iniziare un serio ragionamento, non solo dal lato della maggioranza parlamentare in essere ma anche da quello dell’opposizione perché l’elevato costo dell’energia è uno dei principali vulnus competitivi del sistema economico italiano e la sua riduzione sarebbe uno degli elementi fondamentali per spingere un nuovo ciclo virtuoso di crescita sostenibile.

L’agenda quindi dovrebbe essere strutturata per punti partendo dalla componente fiscale delle bollette, dall’ammodernamento della rete per minimizzare i costi di dispacciamento e dalla strutturazione di un mix energetico più efficiente e sostenibile, senza paraocchi ideologici, perché non è con le buone intenzioni o con le illusioni che si costruisce il futuro ma con pragmatismo e investimenti mirati, in ricerca e sviluppo.

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