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Domande tante, risorse poche: da dove parte il nuovo Governo

Tecnicamente questa è la storia di una vittoria ampiamente annunciata. Da mesi, tanto nei sondaggi quanto nelle simulazioni, il Centrodestra era dato in vantaggio sul cartello di Centrosinistra, con oscillazioni sostanzialmente stabili. E il primato di Fratelli d’Italia non è mai stato in discussione. Dunque il quadro generale era ben chiaro, al di là dei fraseggi classici della campagna elettorale. Ora, essendo passati dalla teoria alla pratica, c’è da svolgere il tema: che governo farà? E, soprattutto, sarà la Meloni la prima donna presidente del Consiglio, oppure sarà stoppata sulla porta di Palazzo Chigi, anche dai veti incrociati dei suoi alleati? I numeri di queste ore non hanno la stessa forza di una sfera di cristallo, o la capacità profetica delle carte, semmai qualcuno creda a tutto ciò, e nemmeno servono a delineare la strada da imboccare. Però inducono a riflettere, a pensare.

E il primo ragionamento riguarda i rapporti con l’Europa. Ammesso e non concesso sia la Meloni a trasferirsi a Chigi, subentrando a Mario Draghi, riserva della Repubblica in attesa del Quirinale o del ritorno sulla scena continentale con un ruolo di peso, davvero Roma inizierà a entrare in rotta di collisione con Bruxelles oppure sceglierà la strada di una dialettica critica, ma non conflittuale? La seconda ipotesi è quella auspicata da tutti, ed è quella che, verosimilmente, verrà seguita dal nuovo governo, con il supporto della maggioranza uscita dalle urne. Perché non si tratta solo di non mettere in discussione i fondi del Pnrr ma di non aprire nuovi fronti, essendo lo scenario europeo già in fibrillazione per la crisi russa.

Dunque gli slogan da campagna elettorale lasceranno il posto al pragmatismo governativo, teso a limare, a mediare, non certo a portare le corde al massimo della tensione. Certo, molto dipenderà da come verranno i gestiti i nuovi rapporti di forza interni al centrodestra, con il tramonto di Forza Italia e l’arresto della Lega, e quale assetto avrà il nuovo esecutivo, se tutto politico o con forti innesti tecnici. Ma pensare ad azioni dirompenti, con la crisi economica galoppante e le democrazie europee in sostanziale crisi di sistema, è fuorviante, ancorché pericolo per il Paese. Del resto con questo risultato elettorale Fratelli d’Italia si ritrova a fare i conti con l’occasione offerta loro dalla storia. E bissare quanto fatto da Renzi o Conte, fallendo miseramente il compito loro assegnato dagli elettori, è sempre possibile, ma non scontato, tanto meno auspicabile.

Verosimilmente la maggioranza uscita dalle urne, pur con le difficoltà di una legge elettorale sciagurata, dovrà dare risposte chiare agli elettori, uscendo dai giochi di quinta. E l’opposizione dovrà fare il proprio mestiere, sostenendo le ragioni del Paese, prima degli interessi di bottega. I 5 anni che ci stanno alle spalle, segnati dai tunnel dei lockdown e dal dramma della pandemia, hanno insegnato come il leaderismo spicciolo, quello tarato solo sul passo breve, è destinato a fallire cammin facendo. Quel che serve, oggi, è una visione prospettica, un programma di largo respiro, teso a guardare oltre lo steccato. La speranza è che ciò avvenga senza dover assistere a mercanteggiamenti di sorta, frutto di una politica fatta di rancori malumori.

Il problema reale, provando a tradurre i numeri, potrebbe essere proprio questo; ridurre ad una vittoria azzoppata la galoppata della Meloni. Ciò che ci aspettiamo dalla nuova maggioranza è un bagno d’umiltà, un tuffo senza avvitamenti nella vasca della realtà, raccontando al Paese come stanno esattamente le cose, soprattutto dal punto di vista economico. Le risorse sono poche, le domande tante, i bisogni reali ancora di più. Ed è su questa equazione che dovrà lavorare il governo, mettendo mano alla manovra economica. Il compito non sarà facile, anzi si presenta come una montagna da scalare. Ma cercare di aggirarla, mirando a raggiungere il traguardo con il minor danno possibile, sarebbe un atto di viltà.

Servirà scriverla in modo chiaro, senza ricorrere a giochi di prestigio o stratagemmi da saltimbanchi, come ha fatto capire l’Europa. E come si aspettano i mercati internazionali. Perché a votare, oggi, saranno le borse. Quanto all’inquilino di Palazzo Chigi non esistono ragioni per le quali non possa essere la Meloni a rompere il tabù della prima donna premier, spezzando la catena del maschilismo in politica, al governo in particolare. I tempi sono maturi per la prima premier donna, gli elettori pure. E insistere nella rincorsa a Draghi non serve a nessuno. Super Mario, semmai, sarà bene usarlo per cose serie, non strumentalmente per vecchi giochi di potere.

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