Tanstaafl. È un motto ricorrente nei miei articoli, un motto che, ricordo ancora, nasce dalla fortunata penna di Robert A. Heinlein nel libro “La Luna è una severa maestra” e sta a indicare che non esista nessun bene o servizio completamente gratuito, tutto ha un costo che qualcuno, in un modo o nell’altro, pagherà.
Questo, ovviamente, era stato tralasciato dall’ex premier Giuseppe Conte quando nel 2020, presentando il Decreto Rilancio che dava il via al cosiddetto Superbonus 110%, disse “Tutti quanti potranno ristrutturare per rendere le abitazioni più green […] non si spenderà un soldo per le ristrutturazioni” che, ovviamente, non è vero. Le agevolazioni fiscali non sono dei “regali” ma, bensì, un contributo mutualistico dei contribuenti a una precisa azione che il Parlamento vuole incentivare, ripartendone pro quota il costo su tutti i cittadini e sarebbe il caso che questo sia chiaro a tutti.
Per questo motivo il ricorso a queste facilitazioni fiscali deve essere utilizzato con parsimonia e indirizzato a obiettivi socialmente o economicamente rilevanti, come il sostegno ai redditi più bassi ovvero allo stimolo all’investimento produttivo per spingere la crescita economica. In quest’ultima categoria avrebbe potuto rientrare il superbonus, pensato durante i mesi caldi della pandemia per rilanciare il mercato italiano tramite l’indotto delle ristrutturazioni che avrebbero, tra l’altro, dovuto andare a toccare due punti caldi del patrimonio immobiliare italiano: la messa in sicurezza sismica e l’efficientamento energetico.
Cosa è andato male, a questo punto? Innanzitutto l’idea stessa di una possibilità di detrarre il 110% di una spesa che è una cosa assurda già solo da pensare e, poi, la possibilità di ottenere il famigerato “sconto in fattura” tramite la cessione illimitata del credito fiscale a cui aggiungere, infine, la macchinosità dell’impianto burocratico per ottenere lo sgravio. Sono tre punti ma tre concetti fondanti che hanno spinto un buco nei conti dello stato.
Questo perché la possibilità di scontare più di quanto si sia speso ha creato un effetto che potremmo definire “tanto paga Pantalone” spingendo i costi di materiali e di servizi ben oltre ogni livello accettabile. Solo per un esempio, il polistirolo utilizzato per i cappotti termici in Italia era cresciuto di oltre quattro volte il prezzo pre-bonus, mentre in Francia, ad esempio, per il focolaio inflazionistico di inizio 2022 il prezzo era aumentato “appena” del 12% circa.
Ai costi gonfiati si aggiunge la questione dello “sconto in fattura” che ha spinto molte persone a commissionare i lavori certi di poter spendere cifre irrisorie con la cessione diretta del credito all’impresa e, specularmente, ha favorito la nascita di gruppi, a volte improvvisati, di professionisti e piccole imprese, come general contractor per poter gestire le commesse e lucrare sui vari passaggi del credito d’imposta venutosi a creare oltre che sulle consulenze per poter accedere al superbonus che potevano arrivare anche a migliaia di euro per unità immobiliare.
Fin qui tutto bello ma… questi crediti di imposta chi li avrebbe saldati? Bingo, l’Erario con i soldi di tutti noi contribuenti, seppur diluiti in cinque anni. L’avvio delle liquidazioni dei bonus già maturati ha portato a un peggioramento dei conti spingendo l’indebitamento all’8% rispetto al 5,6% indicato nella NADEF e confermato nell’aggiornamento di novembre.
Ciononostante il rapporto debito/PIL è sceso in maniera significativa, proprio per via della crescita del sistema Italia in questi due anni ma è veramente merito delle politiche espansive, soprattutto per mezzo del superbonus, messe in campo dal governo Conte, come rivendicato da quest’ultimo?
La risposta viene dall’audizione dell’UPB che è un organismo indipendente che vigila sulla spesa pubblica in Italia e commentata da Luigi Marattin, professore di economia e deputato del Terzo Polo, il quale in maniera molto sintetica indica che in un biennio l’impatto del super bonus abbia generato un impatto positivo sulla crescita del PIL pari a un 1% nel biennio 2021-2022 che è, approssimativamente, quantificabile in 19 miliardi. Ottimo, verrebbe da dire, se non fosse costato 67,5mld di deficit che significa che per ogni euro speso il superbonus abbia generato 28 centesimi di PIL aggiuntivo.
Ora chiunque mastichi un po’ di matematica sa che per avere un guadagno il moltiplicatore del capitale investito deve essere maggiore di uno, in questo caso il moltiplicatore è pari a 0,28, quindi è credibile che senza il superbonus il tasso di crescita del PIL avrebbe potuto essere maggiore se quelle risorse fossero state indirizzate altrove.
Detto questo, però, il vero “peccato originale” relativo a questo sistema di agevolazioni non è stato il superbonus in sé, che come “stimolo straordinario” avrebbe potuto avere anche un a sua ratio visto il periodo di crisi in cui è stato inserito, ma, piuttosto, la cessione illimitata del credito che avrebbe dovuto avere una regolamentazione più lineare e trasparente per non creare un vero e proprio azzardo morale nel mercato che si stava creando e che, alla fine, avrebbero pagato i contribuenti, come, infatti, sta avvenendo.