Sapete qual è il bello dell’economia di mercato? Che non esistano posizioni dominanti eterne, cioè dove le barriere d’accesso non esistano o siano piuttosto flebili prima o poi arriverà sempre un nuovo concorrente con una proposta competitiva che possa scalfire quello che, fino a un certo momento, sembrava un settore riservato a pochi attori. Tutto a vantaggio dell’utenza finale che potrà accedere a servizi sempre più di livello a prezzi sempre più accessibili.
Questo è successo nelle TLC in Italia, ad esempio, prima con la liberalizzazione di fine anni 90 e, poi, dopo il consolidamento con l’arrivo di Iliad che ha scritto un nuovo paradigma nell’offerta telefonica, questo sta succedendo oggi con l’intelligenza artificiale.
È bastato, infatti, il lancio dell’app open source DeepSeek da parte di una start-up cinese per rovesciare uno scenario in cui sembrava che l’accesso alle piattaforme di AI complete fosse sempre più orientato a profili premium a pagamento e portare a un salutare, permettetemi il giudizio, storno nelle quotazioni delle principali aziende hardware e software che avevano fatto di questa il fulcro della loro proposta commerciale.
Se, da un lato, è stata messa in dubbio la preminenza tecnologica degli sviluppatori americani dall’altro la narrazione sulla nascita di DeepSeek ha fatto percepire che non sia necessaria la potenza di calcolo finora utilizzata né gli investimenti consistenti che, fino a ieri, si credevano obbligatori per lo sviluppo di un software di intelligenza artificiale.
Mentre, però, il primo punto non ha bisogno di grandi commenti poiché l’app mostra che il livello tecnologico e di ricerca della Cina non sia affatto inferiore a quello statunitense (e molto superiore a quello europeo), sul secondo punto è necessaria molta più cautela nel commento.
Ho parlato di narrazione perché tutte le informazioni che arrivano dalla Cina sono da prendere con le pinze: sicuramente lo sviluppo della piattaforma asiatica è stato ben più economico di quello di ChatGPT, ad esempio, perché l’addestramento dell’intelligenza artificiale ha potuto sfruttare i modelli già diffusi da Open AI, da Alphabet o da IBM, per citare tre delle società più famose che commercializzano soluzioni AI, e l’hardware alla base è meno spinto e costoso di quello utilizzato dalle piattaforme americane ma è credibile che lo sviluppo di DeepSeek sia costato “solo” 5,6 milioni di dollari, cioè circa un centesimo di quanto abbia speso OpenAI per ChatGPT? La logica direbbe di no.
Anche se non si può negare che i costi di impianto e di manodopera cinesi siano nettamente più contenuti di quelli americani e il sospetto che la propaganda di Pechino abbia messo lo zampino su questo racconto è forte, è innegabile che ci si trovi di fronte a un punto di discontinuità nel mercato delle Ai e che il sistema appena reso disponibile sia ben più economico dei concorrenti sia per gli utenti, accesso gratuito contro un costo che, per le versioni più complete di ChatGPT, va dai 20 ai 200 usd al mese ad esempio, sia per gli sviluppatori, le API di DeepSeek per l’integrazione in altre piattaforme costano 17 volte meno, 10 usd contro 270 usd, di quelle del concorrente indicato.
L’avvento di DeepSeek sul mercato è stato visibilmente dirompente diventando, in brevissimo tempo, una delle app più scaricate sugli store e la prima in ambito AI oltre che, come già detto, provocare un “terremoto” in borsa portando, ad esempio, Nvidia, il leader nella produzione di chip a supporto delle intelligenze artificiali, a un -17% in borsa in soli cinque giorni.
La performance del titolo di questa è stata paurosa negli ultimi due anni con un rialzo di più del 750% in 24 mesi (tra l’altro assolutamente non supportato né dalla redditività, comunque ottima, dell’azienda né dalle prospettive di crescita future ma questo è un altro discorso) e uno storno anche corposo non può che essere benefico sia per il settore in generale sia per la società stessa che potrà, in caso di necessità, ricorrere ancora al mercato per ottenere nuovi capitali per gli investimenti, cosa assai difficile anche con le quotazioni odierne sia chiaro, ma è la causa di questo crollo ad essere significativa.
Per la prima volta dopo anni, si era già accennato più sopra, si mette in forse la supremazia tecnologica delle aziende “big tech” americane con l’arrivo di nuovi concorrenti provenienti da altre zone; forse DeepSeek avrà la funzione “normalizzatrice” su questo segmento che BYD non ha avuto su Tesla nell’automotive e, come si accennava prima parlando del titolo di Nvidia, questo non può che essere un bene, liberando capitali per altri settori poiché i miliardi usciti dalla capitalizzazione di queste società non sono “bruciati” come, spesso, titolano i giornali ma incassati dagli investitori che, semplicemente, hanno dismesso pe posizioni su quelle azioni nel loro portafoglio, liquidandole. Però… sì c’è un però e anche abbastanza rilevante. Se l’azione sui mercati può essere anche positiva la commercializzazione di una piattaforma gratuita o, anche solo, low cost, che arriva da uno stato come la Cina pone dei seri interrogativi, esattamente come li pose il diffondersi di TikTok come social network.
Si parla, ovviamente, dei dati che transiteranno sull’app e quelli a cui essa avrà accesso. Non si tratta solo di una questione di privacy personale ma di dati sensibili di persone fisiche, di società e, persino, dello stato, amministrativi, politici e militari. Già in passato, con la scorsa presidenza Trump, si era visto un ban a un’importante azienda cinese, la Huawei, perché ritenuta controllata dallo stato cinese e utilizzata per acquisire dati e posizioni dominanti nell’ambito delle infrastrutture di TLC e energetiche, chi garantisce che DeepSeek sia indipendente dal governo, non certamente liberale, cinese e che non sia un “cavallo di troia” per diffondere, orwellianamente, notizie fasulle su temi sensibili (basta fare una domanda sugli eventi di piazza Tienanmen nel 1989 e leggere la risposta per far sorgere un serio interrogativo in proposito) o, come detto appena sopra, accedere a informazioni private o riservate a uso e consumo dell’intelligence cinese?
Ovvio che queste domande sorgano, in molti, anche per le piattaforme americane (qualcuno ricorda le storie su Echelon?) ma la struttura del mercato americano e la divisione dei poteri negli USA qualche garanzia in più la danno, ciononostante, almeno a livello inconscio, però il dubbio resta.
Volendo vedere, però, un discorso simile andrebbe fatto con tutta la tecnologia che arriva dalla terra del dragone, anche quella con marchio americano, che si serve delle fabbriche di terzisti operanti in Cina, o dei marchi tecnologici già ben diffusi di aziende con base laggiù ma è abbastanza tranquillizzante la consapevolezza che l’economia cinese, basata sull’export, non può permettersi di essere bloccata per una questione legata a sospetti di spionaggio sui prodotti di alta tecnologia e, quindi, a maggior valore aggiunto, memore di quanto sia successo con Huawei che è finita per essere esclusa dagli applicativi dell’ecosistema dei servizi legati a Google/Alphabet e obbligata a sviluppare in casa uno store e uno standard per la pubblicazione delle app riuscendo sì a sopravvivere ma perdendo quel posizionamento di mercato che l’aveva portata a superare Apple e rivaleggiare con Samsung come primo produttore di dispositivi mobili.
La natura open source di questa piattaforma, però, dà indubbiamente qualche garanzia supplementare unita a una possibilità di controllo efficace da parte delle agenzie di cybersecurity e, forse, sarà questa a far vincere la sfida sulla diffusione in Europa perché potrà essere facilmente adeguata alle esigenze sia degli utenti privati sia dei clienti industriali, anche integrandola in altre piattaforme ad un costo piuttosto contenuto, permettendo di indirizzare le risorse risparmiate ad altri investimenti o alla riduzione dei prezzi portando vantaggi a tutto il sistema. perché anche i concorrenti dovranno adeguarsi per non perdere quote di mercato.
Ah, però, al momento DeepSeek non è già più disponibile in Italia per questioni relative a possibili violazioni di privacy che hanno spinto sia App Store che Google Play (e credo sia lo stesso su App Gallery di Huawey) a rimuoverla dal catalogo ma veramente a Roma pensano che questo sia sufficiente?
Veramente credono che anche solo un ragazzino di 16 anni non sia capace di configurare un app store su un mercato estero con una semplice VPN o una proxy oppure scaricare un’apk dal web, magari su una piattaforma p2p, anche in barba al blocco locale?
La rivoluzione, comunque, non è DeepSeek in se stessa ma in quello che rappresenta, cioè la possibilità di sviluppare un’intelligenza artificiale generativa con investimenti contenuti e con un sistema hardware ben più snello ed economico di quanto abbiano finora raccontato oltreoceano, aprendo così la strada anche a nuovi produttori di componentistica meno strutturati di una Nvidia o di una Qualcomm, ad esempio, ma che potrebbero essere fucina di innovazioni non certo banali, come spesso accade con realtà più agili e contenute rispetto alle grandi aziende, tante volte simili a “fortezze” a livello organizzativo, come a nuovi sviluppatori di soluzioni basate sulle AI.