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Dalle “culle vuote” ad una nuova politica di sostegno per famiglie e figli

L’Italia sotto i colpi del Covid è sempre più piccola. Il record negativo è quello dei bambini nati nel 2020. Secondo i dati Istat nell’anno della pandemia le nascite sono 404 mila, sedici mila in meno rispetto al 2019. Bisogna risalire al tempo dell’Unità d’Italia per registrare un numero così basso di neonati. Il divario tra nascite e decessi è secondo solo a quello di oltre un secolo fa, nel 1918, conseguente alla epidemia da influenza “spagnola”.  La popolazione italiana si è abbassata sotto i 60 milioni. Il tema della natalità è stato dimenticato dall’agenda politica ma nei tempi di pandemia si impone prepotentemente alla ribalta.

Contestualmente la diffusione del virus ha colpito in maggior misura le categorie più fragile, amplificando le diseguaglianze già, peraltro, largamente presenti nelle società contemporanee.

Le donne hanno subito le conseguenze più devastanti dell’emergenza sanitaria. Insieme al drammatico aumento dei casi di violenze di genere e di femminicidi si è verificata una perdita significativa del lavoro femminile. Tale ultimo fenomeno è dovuto anche ma non solo alla diseguale distribuzione degli oneri di cura in ambito familiare.

Secondo l’Istat nel 2020 sono andati perduti 440 mila posti di lavoro (nel 98 % dei casi si tratta di occupazione femminile), mentre un milione e 300 mila sono a rischio, visto che l’impiego delle donne si concentra soprattutto nei settori più vulnerabili rispetto alla crisi epidemiologica, come il turismo, la ristorazione e i servizi. L’occupazione femminile è scesa ben al di sotto dei livelli del 50% raggiunto per la prima volta nel 2019. I dati dimostrano un netto peggioramento del lavoro femminile pure dal punto di vista qualitativo, con impieghi part-time e con contratti a tempo determinato. Non basta agire solo sul terreno della libertà di accesso agli impieghi pubblici e privati, occorre una politica di sostegno all’occupazione femminile e superare disparità salariali nel settore privato e differenze di progressione di carriera e disparità nei livelli apicali nelle amministrazioni pubbliche. Le differenze sul campo lavorativo hanno forti ripercussioni sulla vita privata e familiare, con la c.d. violenza economica che costringe le donne ad abbandonare il lavoro nel caso di gravidanze, di figli in età prescolare o in caso sopraggiunga la necessità di svolgere il lavoro di cura nei confronti di familiari anziani o non autosufficienti. Come ha affermato da recente il Presidente della Repubblica calo demografico e carenza di occupazione femminile sono tra loro strettamente collegati e sono tra i fattori più rilevanti del rallentamento della crescita economica. Infatti- prosegue il Capo dello Stato – “va ricordato, ancora una volta, che dove cresce il lavoro femminile, dove cresce la buona occupazione, anche la natalità è più elevata e i giovani ricevono una spinta positiva per i loro progetti di vita”.

In realtà, il fenomeno delle “culle vuote” è in atto da decenni, dopo il boom di natalità del 1964, con oltre un milione di nascite. Le ragioni della denatalità vanno ricercate, sempre secondo l’Istat, nella progressiva riduzione della popolazione in età feconda e nel clima di incertezza per il futuro. Il trend della costante diminuzione delle nascite non risparmia neanche le zone tradizionalmente più ricche del Paese, come la Lombardia e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Il tema acquista maggiore importanza se si comprende la sua incidenza sull’economia. Il progressivo spopolamento ha ripercussioni pesanti anche sulla tenuta sociale ed economica del Paese, mettendo a rischio il patto intergenerazionale su cui si regge anche la sostenibilità del regime pensionistico. Va detto che il nostro ordinamento si è distinto nel panorama europeo per la quasi totale assenza di politiche sociali riservate alla famiglia.

Le carenze più vistose riguardano la mancata attuazione di una riforma del sistema contributivo che tenga conto del principio del prelievo fiscale sociale. Tale meccanismo renderebbe possibile la realizzazione di un sistema impositivo che non sottragga ai nuclei familiari le risorse necessarie per soddisfare le esigenze fondamentali dei figli.

Sul punto si è espressa anche la Corte costituzionale che nel 1976, sent. n.179, ha dichiarato incostituzionali le disposizioni che prevedevano il cumulo dei redditi dei coniugi ai fini del calcolo dell’aliquota complessiva. In quella occasione la Corte invitò il Parlamento a prevedere un sistema tributario che agevolasse la formazione e lo sviluppo della famiglia. A distanza di venti anni da quella decisione nulla si mosse e nel 1995 la Corte fece nuovamente sentire la sua voce in attuazione del favor familiae, suggerendo al legislatore l’introduzione del c.d. quoziente familiare al fine di realizzare un sistema di riduzione delle imposte al crescere del numero dei componenti della famiglia. Ma i moniti della Consulta sono ancora oggi rimasti inascoltati.

Eppure, la Costituzione dedica una attenzione particolare ai diritti della famiglia e alla dimensione comunitaria della stessa. La Carta fondamentale getta le basi per una democrazia pluralista, in cui accanto alla tutela della dimensione individuale viene accordata protezione alle formazioni sociali, prima fa tutte la famiglia.

La speciale e adeguata garanzia da assicurare alla madre lavoratrice e ai figli esprime la consapevolezza dell’intreccio fondamentale tra occupazione femminile e diritto delle donne alla realizzazione di una famiglia e della prole. L’art. 37 in particolare contiene una norma che sembra scritta proprio per offrire le condizioni del superamento della scelta tra famiglia e lavoro. Assicurare alla donna di lavorare senza dover rinunciare all’essenziale funzione di madre.

Malgrado gli innegabili passi avanti rimane netto il divario tra uomo e donna nell’occupazione, nel salario, nell’accesso alle più alte cariche nel pubblico impiego, nel settore dell’imprenditoria. La condizione femminile è ancora più precaria nelle fasce più deboli della popolazione in cui la carenza di servizi per la cura di minori e anziani costituisce una barriera all’accesso al lavoro.

La particolare attenzione rivolta alla famiglia, alla natalità è rinvenibile nell’art. 31. Il precetto costituzionale attribuisce il compito di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Alla Repubblica è altresì demandato di proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

L’obiettivo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è quello di rendere “l’Italia un Paese più sostenibile ed inclusivo, con una economia più avanzata e dinamica”. Le misure per il Rilancio sono organizzate su tre assi portanti: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. Il PNRR è pensato per ridurre le diseguaglianze territoriali, sociali, di genere, e intergenerazionali.

Il Next Generation Eu punta sulle politiche di inclusione e sull’eguaglianza di genere. Politiche per la famiglia, potenziamento dei servizi in maniera equa su tutto il territorio nazionale, conciliazione dei tempi di lavoro e della famiglia sono i pilastri per la ripresa economica, sociale e culturale dell’Italia post- Covid. Al fine di favorire la natalità, di sostenere la genitorialità e di promuovere l’occupazione, in particolare quella femminile, la legge di recentissima approvazione prevede l’introduzione dell’assegno unico e universale destinato ai figli.

Tale misura di sostegno, basata sul principio universalistico, costituisce un beneficio economico attribuito progressivamente a tutti i nuclei familiari con figli a carico. L’assegno è assicurato per ogni figlio, per i figli successivi al secondo l’assegno è maggiorato fino al compimento del 21 anno di età.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza assicura risorse per potenziare le infrastrutture sociali per garantire servizi alle famiglie e potenziare la rete delle strutture educative, con scuole e asili su tutto il territorio nazionale. L’obiettivo dell’investimento in asili nido e servizi integrati è superare la soglia fissata nel Consiglio europeo di Barcellona del 2002, che pone l’offerta minima al 33% entro il 2026. L’Italia attualmente dispone di servizi per la prima infanzia pari al 25,5%, molto al di sotto della media europea del 35,1%. Il settore di cura deve divenire una questione di rilevanza pubblica e non può essere lasciato solo alle famiglie e distribuito in modo diseguale tra i generi. Il potenziamento di strutture per gli anziani, di asili nido e scuole dell’infanzia fornisce un aiuto concreto alla piena libertà di scelta da parte delle donne e contribuisce ad aumentare l’occupazione femminile. Sembra aprirsi un tempo nuovo per il benessere della società italiana.

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