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Come il coronavirus rende i poveri ancora più poveri

Sono circa 360mila le vittime nel mondo della pandemia del Covid-19, una scia di morte che probabilmente non viene rilevata nella sua interezza dai calcoli dei bollettini ufficiali. Tuttavia molto più consistente e drammatico potrebbe essere il bilancio dei nuovi poveri causati dalle conseguenze dei lock-down e dei successivi fallimenti di attività e aziende messe in ginocchio dal periodo di quarantena. Esperti e analisti concordano nell’affermare che si tratta della peggiore recessione economica che il mondo abbia affrontato dalla crisi del 1929, in pratica nemmeno il secondo conflitto mondiale e la crisi finanziaria del 2008 hanno ridotto così pesantemente il Prodotto interno lordo (Pil).

Le stime che arrivano da importanti organismi internazionali fanno tremare i polsi. Secondo la banca mondiale la pandemia di coronavirus potrebbe spingere 60 milioni di persone sotto la soglia di povertà, “cancellando i progressi compiuti negli ultimi tre anni nello sradicamento della povertà”. Sulla stessa linea il presidente delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che mette a fuoco i rischi per l’Africa: “La pandemia minaccia il progresso africano. Aggraverà le disuguaglianze di antica data e aumenterà la fame, la malnutrizione e la vulnerabilità alle malattie”. Tra le sue raccomandazioni, Guterres ha esortato “un’azione internazionale per rafforzare i sistemi sanitari dell’Africa, mantenere le forniture alimentari, evitare una crisi finanziaria”. Il numero uno dell’Onu ha quindi chiesto un piano da 200 miliardi di dollari per sostenere l’istruzione, proteggere i posti di lavoro, mantenere a galla le famiglie e le imprese e attutire il continente dalla perdita di reddito e dai proventi delle esportazioni. Il rallentamento dell’economia e le misure di contenimento avranno l’impatto più pesante sulle fasce di popolazione più fragili.

La scuola è infatti l’ascensore sociale più efficace e l’impossibilità di accedere all’istruzione può essere un colpo gravissimo per tanti giovani del terzo mondo, che sono privi delle tecnologie digitali necessarie per svolgere la didattica a distanza. Anche Save the Children prevede che dal punto di vista sociale le conseguenze più devastanti della pandemia ricadranno sui minori. Da uno studio realizzato dall’Ong insieme all’Unicef emerge che 86 milioni di bambini rischiano di cadere in povertà. “Questo significa che – si legge nel documento – senza azioni immediate per proteggere le famiglie più vulnerabili, il numero totale di bambini che vivono sotto la soglia di povertà nazionale nei Paesi a basso e medio reddito potrebbe raggiungere i 672 milioni entro la fine dell’anno. Circa 2 su 3 di questi bambini vivono in Africa subsahariana e Asia meridionale”. “I Paesi in Europa e in Asia centrale – prosegue – potrebbero assistere all’aumento più significativo, fino al 44% nella regione. L’America Latina e i Caraibi potrebbero vedere un aumento del 22%. Prima delle stime e delle previsioni ci sono però i dati reali di chi sta sul campo e già avverte un aumento delle famiglie e delle persone in difficoltà. A darcene un’idea è la Caritas italiana che durante il lockdown ha registrato un aumento esponenziale e costante delle richieste di aiuto.

Don Antonio Pompili di Caritas Roma ha spiegato che se i primi dati delle Caritas diocesane parlavano di aumento dal 20 al 50% per quanto riguarda gli aiuti alimentari, nelle ultime settimane di maggio sono raddoppiate le richieste di aiuti rispetto all’inizio della crisi da Covid. “Nel nostro caso – ha raccontato il sacerdote – lo scorso mercoledì abbiamo aiutato un numero di persone tre volte più superiore di quello che siamo abituati ad aiutare con pacchi alimentari”. Don Pompili è stato particolarmente colpito dall’arrivo di persone prevalentemente giovani che avevano un’attività regolare in zona e che dispongono di una casa. “Persone come tante fino a pochi giorni fa, alle quali è crollato il mondo addosso”.

Di fronte a questo scenario, i governi di tutto il mondo possono evitare il peggio solo se agiranno velocemente e se sapranno mettere l’infanzia e giovani al centro dei loro investimenti per il futuro. La Banca Mondiale ha annunciato lo stanziamento di aiuti per 160 miliardi di dollari a 100 Paesi in via di sviluppo e nelle stesse ore l’Unione Europea ha annunciato il varo del Recovery Found da 750 miliardi di euro. Una montagna di liquidità che andrà utilizzata soprattutto per cambiare il modello di sviluppo mondiale verso forme di produzione e consumo eco-compatibili.

Superata la fase dell’emergenza più stringente che richiede necessarie politiche di mera assistenza sociale, la comunità internazionale non può permettersi di perdere il treno di un nuovo sviluppo che riduca le diseguaglianze sempre più ampie che destabilizzano le nostre società e che alimentano il drammatico fenomeno dell’immigrazione di massa. Ricerca, innovazione, digitalizzazione, infrastrutture, accesso all’istruzione e alle nuove tecnologie possono essere davvero il motore che può far uscire dalla povertà milioni di persone, perché la ricchezza prima di essere distribuita deve essere creata dal lavoro sapiente delle mani e della mente dell’uomo. Il tutto nell’ottica di uno sviluppo integrale che parta dal riconoscimento dalla dignità intrinseca di ogni vita.

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