Una riflessione va fatta sulle vittime del caporalato in agricoltura, di cui si sta parlando molto in questi giorni e che, sia pure in presenza di una legge che ne riconosce la vera natura di reato, continua a prosperare in lungo e in largo nelle nostre campagne. Ciò è la prova che non bastano le leggi a cambiare le cose ma occorrono conseguenti azioni sinergiche tra tutti gli attori coinvolti per garantire una concreta e corretta applicazione della norma e favorire la denuncia da parte delle vittime in tutta sicurezza. Anche il decreto legislativo 109 del 2012, di recepimento della direttiva 2009/52/UE sul contrasto al lavoro irregolare, ad esempio, che prevede la possibilità per le vittime di denunciare il datore di lavoro, viene poco utilizzato in quanto servirebbero maggiori tutele per le persone sfruttate e la possibilità di farsi rappresentare dalle organizzazioni sindacali.
Bisognerebbe superare il concetto che il caporalato sia un fenomeno diffuso solamente al Sud, esiste invece anche al Nord dove si preferisce spesso non parlarne. Così come va sfatata la leggenda che lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù in agricoltura riguardi esclusivamente i lavoratori e le lavoratrici straniere.
Anzi è stato dimostrato, attraverso specifiche inchieste, che nel Mezzogiorno, ad esempio, le vittime del caporalato sono soprattutto italiane, sono circa 40 mila e in prevalenza donne. Aspetto questo che come Cisl abbiamo rimarcato nei lavori di stesura del Piano nazionale antitratta, di prossima emanazione, chiedendo espressamente l’estensione della protezione anche per i nostri connazionali. In Puglia e Basilicata l’esercito degli sfruttati lavora 9 ore al giorno sotto il sole cocente per 35 euro, senza contare le estenuanti ore di viaggio per spostarsi da un luogo all’altro e da una provincia all’altra fino a lasciarci la vita, come è già più volte avvenuto.
Sono proprio le morti che hanno riacceso i riflettori su questa forma di schiavitù tutt’altro che nuova dalle nostre parti e che vive su un sistema di connivenze tra caporali e alcuni cattivi imprenditori che ricorrono alla loro intermediazione per risparmiare sul costo del lavoro e che si rafforza proprio nei momenti di crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo.
E’ ora di dire basta, occorre che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, che faccia il proprio dovere, a partire dal sindacato, per ridare dignità al lavoro che è a sua volta fonte di dignità e mezzo di riscatto per i lavoratori e soprattutto per le lavoratrici che sono parte ancora più debole e che pagano spesso lo scotto della mancata indipendenza economica. Come Coordinamento donne Cisl, da tempo siamo impegnate a dare man forte alle donne sfruttate e discriminate sui luoghi di lavoro, sia attraverso iniziative promozionali sia mediante specifiche azioni, codificate dal 2009 nella nostra “Piattaforma sulla prevenzione della violenza sulle donne e i minori”.
Come Cisl, la nostra categoria, Fai Cisl, impegnata da sempre sul campo, sta portando avanti, insieme alle altre sigle sindacali di settore di Cgil e Uil, un progetto finalizzato alla creazione di una “Rete del lavoro agricolo di qualità”, in parte recepito nella legge 116/2014 tra cui la costituzione di una cabina di regia per individuare le misure operative, normative, giuridiche e sanzionatorie per dare vita ad un Piano di azione contro lo sfruttamento della manodopera agricola ormai non più rinviabile.