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Sull’orario di lavoro agiscano le parti sociali

In situazione di pandemia, come si sa, in molti settori le commesse si riducono e con esse le ore da lavorare; in tanti altri luoghi si manifesta l’esigenza di cambiare gli orari per la necessità di distanziare i lavoratori tra loro per proteggersi dal contagio, in altre situazioni di natura economico-organizzativa si pone o il problema di una momentanea sosta lavorativa che può provocare o il ricorso alla cassa integrazione guadagni, quando non al licenziamento di una parte dei lavoratori. In casi analoghi a questi, tra le varie soluzioni, si è trovata quella di ridurre l’orario di lavoro in modo da distribuirsi il lavoro che c’è con forme solidaristiche quali le riduzioni di orari per tutti in modo da scongiurare licenziamenti, aspettando momenti migliori per ritornare a regime pieno di orario.

La ministra del lavoro Cataldo da qualche giorno va ripetendo che sta provvedendo ad allestire un provvedimento di riduzione dell’orario di lavoro, per far fronte alla penuria di lavoro come alla esigenza di implementare nel lavoro italiano la cultura digitale attraverso la formazione che a quel punto si intende dispiegare in continuità di quelle rivenienti dalla riduzione di orario. La ministra poi precisa che per la corresponsione del salario non cambierebbe nulla nonostante le ore in meno. Indubbiamente il tema dell’orario di lavoro in circostanze come quelle che stiamo vivendo, può essere una importante pratica per aiutare i lavoratori a non essere messi fuori dai processi produttivi come può aiutare le imprese a non disperdere risorse umane preziose per la ripresa a regime delle attività. Così come è importante considerare la forzata riduzione delle attività come occasione per rielaborare la professionalità dei lavoratori, soprattutto riguardo alla conoscenza delle applicazioni digitali nelle produzioni che li riguardano. Ma penso che il governo, pur stimolando le parti sociali ad organizzarsi in tale senso, deve astenersi dal ricorrere a prescrizioni dettagliate riguardanti il come ottenere le soluzioni auspicate.

La ragione è semplice: cosa è meglio fare per la produzione, nessuno lo può sapere meglio dei rappresentanti dei lavoratori e delle imprese. Come nessuna pratica può diventare producente, come quelle prodotte da accordi contrattuali dei soggetti direttamente impegnati e responsabilizzati. D’altronde sono decisioni da prendere convenientemente azienda per azienda: e ogni caso è un caso a se.

Circa il ricorso alla formazione, le parti sociali dispongono da molti anni di un capillare sistema formativo in ogni settore produttivo, sostenuto dallo 0’30% del salario dei lavoratori; se il governo intende aggiungere risorse per lo sforzo formativo, non deve fare altro che affidarle alle parti sociali per utilizzarle efficacemente ed a rinforzo dei programmi di attività già in essere. Quello che non serve sono le sovrapposizioni nelle iniziative, e soprattutto deresponsabilizzare i soggetti in campo.

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