Gaza come punto di non ritorno nello scacchiere internazionale. L’agenzia missionaria vaticana Fides ha raccolto le testimonianze del patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini Michel Sabbah e dei membri del gruppo “Christian Reflection”. Al centro del confronto le stragi compiute da Hamas contro ebrei israeliani il 7 ottobre 2023. L’eccidio ha aperto il nuovo vortice di morte e annientamento che risucchia interi popoli e trascina il mondo intero verso il baratro della guerra globale. La catastrofe che travolge la Terra Santa e tutto il Medio Oriente “non è iniziata il 7 ottobre 2023”. I cicli di violenza che hanno generato il tragico presente vissuto anche nella terra di Gesù “sono stati infiniti, iniziati nel 1917, raggiungendo il picco nel 1948 e nel 1967, continuando da allora fino a oggi”. Adesso la rabbiosa rappresaglia della forza militare israeliana “può distruggere e portare morte“. Ma “non può portare alla sicurezza di cui gli israeliani hanno bisogno”. Perché la pace potrà tornare “solo quando la tragedia del popolo palestinese avrà fine”. Sono parole irrigate di lucido realismo, di dolore e nel contempo di speranza “contro ogni speranza” quelle raccolte nel documento-appello diffuso da Fides.
Focus su Gaza
La “Christian Reflection” di Gerusalemme è un gruppo di cristiani di Terra Santa – sacerdoti, religiosi e laici – raccolti intorno al Patriarca emerito Sabbah. Per condividere riflessioni sul ruolo dei cristiani davanti al conflitto e nella società. Proprio ai fratelli e alle sorelle nella fede in Cristo il documento firmato dal Patriarca emerito Sabbah pone questioni decisive. “Come cristiani” si legge nel testo, intitolato “Mantenere viva la speranza“. Gli interrogativi sono inquietanti: “Ci troviamo di fronte anche ad altri dilemmi. Questa è una guerra in cui siamo semplicemente spettatori passivi? Dove ci collochiamo in questo conflitto, presentato troppo spesso come una lotta tra ebrei e musulmani, tra Israele, da una parte, e Hamas e Hezbollah sostenuti dall’Iran, dall’altra? Questa è una guerra di religione? Dovremmo rintanarci nella precaria sicurezza delle nostre comunità cristiane, isolandoci da ciò che sta accadendo intorno a noi? Dobbiamo semplicemente guardare e pregare in disparte, sperando che questa guerra alla fine passi?”. Sabbah e i suoi compagni del gruppo di riflessione si rivolgono ai capi cristiani, “ai nostri vescovi e ai nostri sacerdoti per avere parole di guida. Abbiamo bisogno dei nostri pastori per aiutarci a comprendere la forza che abbiamo quando siamo insieme. Da soli, ognuno di noi è isolato e ridotto al silenzio”. Soprattutto – aggiungono – c’è bisogno di chiedere l’aiuto di Dio “per non disperare, per non cadere nella trappola dell’odio. La nostra fede nella Resurrezione ci insegna che tutti gli esseri umani devono essere amati, uguali, creati a immagine di Dio, figli di Dio e fratelli e sorelle gli uni degli altri”. Per questo “le nostre scuole, ospedali, servizi sociali sono luoghi in cui ci prendiamo cura di tutti coloro che sono nel bisogno, senza discriminazioni”. E soprattutto a Gaza e in Terra Santa la fede in Cristo “ci rende portavoce di una terra senza muri, senza discriminazioni, portavoce di una terra di uguaglianza e libertà per tutti, per un futuro in cui possiamo vivere insieme”.