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Siamo tutti “killer”

Il killer che ha ucciso i due giornalisti americani ha filmato ciò che stava facendo, lo ha postato sui social, per essere sicuro di avere quella visibilità che lui riteneva suo diritto avere, e così facendo ha mostrato al mondo il frutto terribile della sua azione.

Ci siamo scandalizzati, abbiamo provato orrore. Eppure questa dinamica è molto più vicina a noi di quanto non pensiamo; basta fare un giro su facebook per constatare il tasso di violenza verbale esistente, spesso non giustificato nemmeno da interessi personali, né da dati di fatto, né da episodi contingenti. I social a volte diventano uno sfogatoio di frustrazioni personali che però, giocoforza, devono trovare un obiettivo da mettere nel mirino. Già il lessico appena utilizzato dà la dimensione di come – concettualmente – certi atteggiamenti proposti da persone cosiddette “normali” non siano poi così distanti da quelle del killer “folle”. La differenza ovviamente sta nel fatto che le pallottole uccidono, ma anche una costante campagna d’odio può innescare nelle menti poco equilibrate quel germe che porta poi a compiere atti insensati. E comunque provoca rabbia, dolore, aggressività.

Si arriva spesso ad urlare la propria verità, togliendo così spazio a qualunque tipo di dialogo; perché se si è convinti di avere la “verità” in tasca non si sente il bisogno del confronto, e se si arriva a “gridarla” vuol dire che il limite della saggezza è stato già oltrepassato.

La violenza poi la troviamo non solo sui social, ma anche nelle serie tv e persino nei cartoni animati per bambini – ormai zeppi di sangue, morti, scheletri, mostri e via dicendo… -; ormai è diventata una compagna di viaggio. Il che fa apparire normale ciò che è comune, provoca una certa assuefazione per la quale nel migliore dei casi la brutalità non ci fa più impressione, e nel peggiore diventa un modus operandi che inevitabilmente provoca disastri.

Possiamo fermare il mondo? No, ma possiamo fare qualcosa, anche nel nostro quotidiano: usare meglio il telecomando, il pc, lo smartphone, i videogames. Cercando di nutrire i nostri ragazzi con programmi che non siano inclini allo scontro, post che non propongano valori sbagliati, cartoon che non rendano protagonisti mostri, scheletri e altri modelli sempre più vicino all’occulto.

Costa fatica, ma gli strumenti li abbiamo. Cambiando “canale” potremmo contribuire a cambiare mentalità. E a ripulire i social del futuro, e dunque la stessa società, da una violenza cieca e distruttiva.

 

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