È diventata ormai consuetudine per CGIL e UIL programmare lo sciopero generale verso la fine dell’anno, proprio in coincidenza con la definizione della spesa pubblica per l’anno successivo. Questa pratica, che si ripete con una certa regolarità, si manifesta spesso con astensioni dal lavoro organizzate il venerdì, suscitando tensioni con l’Autorità garante per il diritto di sciopero. Tale autorità ha il compito di ridurre al minimo i disagi per i cittadini, soprattutto nei settori cruciali come trasporti, ospedali e servizi essenziali.
Un elemento di particolare rilievo è l’assenza della CISL da queste iniziative. La mancata unità sindacale evidenzia una frattura profonda: da un lato CGIL e UIL, che sembrano rifiutare ogni tentativo di mediazione con la CISL; dall’altro la CISL stessa, da sempre orientata a negoziare con i governi tenendo conto delle esigenze dell’economia e dei vincoli imposti dal debito pubblico. Questa dinamica riflette un cambiamento radicale rispetto al passato, quando il sindacalismo confederale, unito, era in grado di mobilitare anche i sindacati autonomi, esercitando una forza deterrente capace di spingere i governi a lunghe e significative trattative.
Quello che emerge negli ultimi anni è un sindacalismo frammentato e sempre più debole, intrappolato in dinamiche che sembrano distruttive per un attore sociale fondamentale per l’equilibrio degli interessi e la coesione sociale. Lo sciopero generale, privo di unità e inflazionato nel suo utilizzo, perde progressivamente il proprio potere contrattuale. Esso rischia di essere percepito come uno strumento politicizzato, alimentando così forze che prosperano sulla disintermediazione e sul rifiuto del dialogo.
Siamo dunque lontani dalle esperienze in cui il sindacalismo, forte di una rappresentanza compatta e di un prestigio sociale consolidato, agiva con cautela e forza. Allora, il dialogo con altri soggetti sociali, unito alla capacità di mediazione, garantiva un’efficace rappresentanza del mondo del lavoro e un contributo essenziale alla politica nazionale. Oggi, invece, il sindacato appare disorientato di fronte a un bipolarismo dominato da forze populiste, che rifiutano pluralismo, mediazione e protagonismo delle associazioni.
Le lamentele di alcuni leader sindacali sulla scarsa disponibilità delle forze politiche al confronto non tengono conto di questa realtà. Collaborare con formazioni populiste per guadagnare una parvenza di rilevanza rischia di trasformarsi in un pericoloso autogol, minando ulteriormente il ruolo del sindacato come contrappeso democratico, così come concepito dai Costituenti.
La ricostruzione dell’unità sindacale passa inevitabilmente attraverso il pluralismo e un rinnovato senso di responsabilità. Non si può pensare di affrontare la difficile situazione del lavoro italiano senza politiche che affrontino questioni cruciali: il progresso tecnologico, la crisi energetica, l’educazione funzionale alla modernità, e il debito pubblico. Adottare l’approccio populista, che si limita a individuare i problemi senza proporre soluzioni concrete, significa rifugiarsi nella facile retorica, evitando di assumersi responsabilità.
In definitiva, uno sciopero al giorno non risolve i problemi, ma rischia di aggravare le difficoltà del mondo del lavoro e dell’intero Paese. Solo un sindacato capace di rinnovarsi, ritrovare la sua unità e collaborare con serietà potrà tornare a giocare il ruolo che gli spetta per il bene della società italiana.