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Non c’è sviluppo integrale senza pace

Oggi ricorre la Giornata Internazionale della Pace istituita dall’Onu nel 1981 all’insegna della non violenza. La pace è aspirazione profonda del genere umano. È vocazione di tutti. Essa, però, è gravemente minacciata e quotidianamente insidiata dalla violenza, individuale o collettiva, che la coarta e la distrugge, fino ad annientare l’uomo nella sua dignità e nei suoi diritti fondamentali alla vita, alla libertà e allo sviluppo integrale. La violenza si annida nelle strutture sociali, economiche, finanziarie, politiche, culturali, massmediatiche. Genera conflitti, ingiustizie e guerre.

Come combattere la violenza senza lasciarsi avviluppare in una spirale senza fine? È questo un problema che si è riproposto in occasione dell’invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina. Nella “Gaudium et spes”, che elabora una nuova etica della pace e condanna con fermezza e chiarezza la guerra totale, i padri conciliari indicano, come degna di attenzione, la possibile via dell’azione non violenta: «Mossi dal medesimo Spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità».

Nel 1971, il Sinodo dei vescovi ha esortato a promuovere la «strategia della non violenza». Negli anni seguenti, varie Conferenze episcopali si sono espresse in modo analogo. La globalità di questa nuova etica della pace, quale emerge dalla “Gaudium et spes” e dagli altri documenti episcopali, consiste nel riconoscere come accettabili sia il ricorso alla forza per la legittima difesa individuale e collettiva sia l’azione non violenta attiva e creatrice. Ciascuna di queste opzioni è peraltro sottoposta a condizioni molto strette che ne definiscono la legittimità morale. In breve, la legittima difesa dev’essere al servizio della giustizia, nella coerenza dell’uso di mezzi omogenei col fine, fintantoché l’azione non violenta non potrà abolire il diritto di ogni cittadino, specialmente dei deboli e degli innocenti, d’essere protetti dallo Stato a mezzo della forza se necessario. Il che appare, per ora, non facilmente praticabile. In passato, nel quadro delle strategie classiche, la guerra era crudele, ma generalmente non sterminava le popolazioni coinvolte. Le Nazioni potevano allora sperare che la guerra desse l’avvio ad una soluzione politica, salvaguardando i loro interessi vitali. Oggi, la rivoluzione tecnologica ha conferito alle armi una capacità distruttiva tale da poter annientare le stesse società che vi ricorrono per difendersi da ingiuste aggressioni.

La guerra moderna, diventa guerra totale, ossia violenza massima e criminale, che porta all’annientamento dei contendenti e della stessa umanità. L’accresciuta potenza distruttiva delle armi moderne può provocare il suicidio collettivo. Proprio per questo, a livello di prospettiva etica, nella Dottrina sociale della Chiesa, si è dovuta ripensare la teoria della guerra “giusta”, in quanto sempre più difficilmente giustificabile, anche quando si pensasse all’impiego delle cosiddette armi «intelligenti» o «pulite». Questo ha sollecitato a valutare quali siano le condizioni per un disarmo nucleare generale. Una guerra, infatti, apparirebbe “giusta”, più razionale e giustificabile, entro i limiti di un disarmo nucleare generale accettato da tutti, sulla base del cosiddetto principio di sufficienza. Secondo tale principio, lo Stato possederebbe solo le armi necessarie per la legittima difesa dei popoli.

Il che ha fatto riflettere anche su quale tipo di armi gli Stati possano possedere in vista di una legittima difesa, ossia su un tipo di armi che consenta di difendere i popoli ma non di eliminarli. E, inoltre, su cosa fare affinché tutti gli Stati accettino di convenire sul principio di sufficienza, ossia sull’idea di possedere solo le armi necessarie per la legittima difesa, ma che non siano nucleari. A questo proposito, non va ignorato che oggigiorno la prospettiva di una legittima difesa secondo il principio di sufficienza, principio fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa in tema di disarmo, sembra essere di fatto vanificata. Infatti, specie dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e di questi ultimi anni, gli Stati, anziché impegnarsi in un serio e sistematico disarmo nucleare, hanno incrementato la corsa verso armamenti sempre più sofisticati e micidiali, prospettando addirittura la soluzione di una difesa preventiva (rispetto ad un attacco non imminente, ma possibile), che porta inevitabilmente ad un’escalation delle ostilità, verso una guerra totale.

Il quadro odierno non sembra, dunque, per nulla rassicurante. E non bisogna dimenticare che, nel caso sopra configurato di una guerra di legittima difesa, guerra «giusta» perché avverrebbe nel contesto di un disarmo nucleare generale e userebbe un tipo di armi «convenzionali», essa rimane comunque una soluzione estrema e che, purtroppo, come ogni guerra, produce distruzioni e morti. Cose tutte che fanno capire come non bisogna cessare dal ricercare vie più degne dell’uomo per la prevenzione e la composizione di eventuali conflitti, per la realizzazione della pace. Le attuali politiche e strategie di guerra, la possibilità non platonica dell’olocausto nucleare mondiale, la stessa necessità di difendere efficacemente i popoli, i cittadini e i loro beni con mezzi che non comportino la minaccia dell’annientamento, stanno accreditando sempre più l’azione non violenta come vera alternativa realistica alla violenza e alla guerra.

Tale azione non violenta, al pari della guerra, delle tirannie e delle ingiustizie, può avere diverse forme, in rapporto ai problemi in una data situazione. Si possono elencare, ad esempio, la disobbedienza civile, l’obiezione di coscienza, il boicottaggio sociale, lo sciopero anche generale, il picchettaggio, il digiuno, l’obiezione fiscale, la non collaborazione (resistenza non violenta), la difesa popolare organizzata o difesa civile non violenta, istituita da un governo come parte del suo piano di difesa, il “governo parallelo”, le sanzioni internazionali (come nel caso della guerra tra Russia ed Ucraina). Tenendo conto, però, dell’ampiezza dei cambiamenti culturali e politici che quest’ultima scelta comporta, una tale via, nonostante sia fortemente auspicabile e vada perseguita con tutte le forze, oggi appare una prospettiva non realizzabile, né a corto né a medio termine. Se non cambiano le cose anche a livello internazionale, sembra che la via della difesa civile non violenta sia destinata a coesistere per molto tempo ancora con le forme di difesa militare.

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