È passato un mese dallo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil, e credo che un bilancio di quell’evento che ha fatto tanto discutere, sia utile per ponderare valutazioni su decisioni ed eventi che si accavallano nella tormentata storia che stiamo vivendo. Si può dire che quella fuga in avanti non ha aggiunto alcun risultato alla già precaria condizione dei lavoratori, e che anzi ha generato disgregazione tra le associazioni del lavoro, ha alimentato ulteriori pulsioni degenerative nel campo sociale e quello politico, non è stata una decisione che ha suscitato speranza tra i lavoratori.
Dunque quella forzatura non ha aggiunto alcun altro risultato a quello già ottenuto sul fisco dal confronto con il governo prima della solitaria protesta, e dall’insistenza della CISL, che ha preferito in questi frangenti darsi un profilo più consono alla sua cultura sindacale, invitando il governo a dare un segnale di attenzione ai lavoratori oberati di troppe tasse pagando anche per chi non le paga, risposta che il governo ha comunque dato premettendo che vorrà nel futuro continuare con lo stesso criterio di attenzione. Ma il danno di dividere i lavoratori con fughe in avanti, ha reso ancora più deboli le centrali confederali, ha incrinato la possibilità per il necessario fronte comune con le associazioni d’impresa come con Confindustria che aveva richiesto al Sindacato e governo di unirsi ad un “patto” per lo sviluppo, ha reso vano il disegno pur esistente nell’opinione di Mario Draghi di impegnarsi al Patto per affrontare gli impegnativi itinerari economico sociali tutti insieme, come si conviene in frangenti assai importanti come quelli che stiamo vivendo.
Insomma la rottura del fronte è stata un disastro comunque la mettiamo, ed anzi a ben saper leggere gli eventi, da quel momento si è data la stura a strumentali più o meno velate critiche a Mario Draghi, a quel variegato corpo politico poco incline a stare dentro un disegno ordinato di governo riguardo agli obblighi che abbiamo nell’affrontare nell’economia e nel sociale. Insomma il bilancio è assai disastroso, e spero che chi è ancora in grado di comprendere l’accaduto, incominci a porre le basi per un cambiamento di prospettiva nelle scelte conseguenti da operare.
È stato detto e ripetuto che il PNRR può cambiare le condizioni dell’Italia: con l’efficienza dei fattori dello sviluppo oggi assai compromessi; attraverso la sua missione di cambiamento nell’uso di energie pulite e meno costose; con la modernizzazione dei trasporti portuali, ferroviari, aerei; intervenendo sull’istruzione e nell’educazione in generale, nella transizione digitale che dovrà permeare e fecondare tutti gli obiettivi qui elencati.
Mi chiedo come si può pensare che questa prospettiva, e l’impegno per realizzarla, possa vedere il ruolo del Sindacato solo da grillo parlante, autoescludendosi ad essere invece propositivo con altri soggetti sociali, politici ed istituzionali, nella sua soggettualità autonoma, concorrendo ad indirizzare i processi e garantendoli con il necessario controllo sociale? Solo l’attrazione dalla realtà può far ritenere che sottrarsi a queste responsabilità, possa non invece innescare a catena conseguenze negative per la corretta gestione delle politiche di sviluppo, consegnando ai poteri carsici ancor più possibilità di dominio di quelle che già possiede.
Credo che nelle realtà del lavoro ed in generale nel sociale, per il bene del paese dovrà nascere una nuova e moderna cultura in appoggio alle ragioni del lavoro italiano. Questo non solo per coltivare e preservare la sua anima ed i suoi interessi assai vitali per la Nazione, ma altresì per rigenerare in una nuova stagione di responsabilità la politica in generale, che come si sa, dal suo grado di consapevolezza del proprio ruolo primario, dipendono le sorti di benessere e coesione sociale.