Cosa avrà pensato il piccolo Loris quando la sua innocenza stava per essere tradita da mani adulte che erano pronte a spezzargli l’esistenza? Quanto avrà sofferto in quegli ultimi istanti dove magari un volto conosciuto si è trasformato in orco? La sua vicenda ha toccato le coscienze, scosso gli animi, provocato orrore. L’ipotesi che una madre possa uccidere il figlio che ha portato in grembo per nove mesi è qualcosa che rifiutiamo a livello inconscio, un pensiero che allontaniamo nonostante la cronaca ci proponga questo tipo di delitti in maniera sempre più frequente.
La mamma, Veronica Panarello, è indagata, non ancora colpevole; le indagini andranno avanti, ci sarà un processo. Ma il senso di raccapriccio che proviamo pensando alla modalità per cui il piccolo sia stato prima circuito, poi legato e infine ucciso lentamente è ancestrale, legato alla sopravvivenza stessa della specie; va al di là della vicenda giudiziaria.
Quest’ultima però, nei suoi tecnicismi, rischia di diventare una seconda puntata di una storia macabra. Abbiamo già avuto testimonianza di donne che dopo essersi macchiate del sangue dei propri figli, grazie alle pieghe del nostro sistema giudiziario, in attesa di condanna definitiva le abbiamo viste addirittura andarsene in vacanza; e anche dopo il giudizio di colpevolezza, tra sconti di pena e buona condotta, sono uscite nuovamente tra la gente.
Rieducare chi sbaglia è un principio sacrosanto, ma mancare di rispetto alla dignità di un bambino e alla sua memoria è altro. Troppo spesso chi fa il mestiere di magistrato, e ancor più di avvocato, resta aggrappato al codice prescindendo dal sentire comune; ciò non vuol dire che si debba andare a giudizio sull’onda dell’emotività popolare senza vagliare riscontri e prove, ma il principio per cui la legge viene piegata alla convenienza di un imputato ignorando la sua colpevolezza, una volta acclarata, sarà’ forse da rivedere?
Questo sotto il profilo procedurale. Poi c’è l’analisi sociologica. Il trionfo dell’“Io”, la società costruita unicamente sul soddisfacimento dei propri bisogni, non prevede la condivisione delle responsabilità, l’accettazione degli errori altrui, la fatica della convivenza. Quando il proprio benessere (o malessere) diventa prioritario su tutto, anche l’interesse verso i figli viene polverizzato fino a scomparire, arrivando a situazione patologiche che contemplano addirittura l’eliminazione fisica della prole.
Distrutto il concetto stesso di famiglia, tutto il resto perde di valore. E ciò che accade oggi è la drammatica conferma che è stata presa la strada sbagliata. Intanto altre madri imboccano la terribile via dell’infanticidio. L’ultimo caso appena ieri sera, a Bordighera in Liguria: Natalia Sotnikova, 40 anni, moscovita, ha ucciso il suo bambino di 9 mesi. Prima ha detto di averlo lasciato sugli scogli, poi di averlo gettato in mare, infine la confessione: “Sono stata io. L’ho portato al largo a nuoto, con il marsupio, poi l’ho annegato”. Stiamo scivolando verso un baratro senza ritorno… Chi potrà fermare questa società prima che sia troppo tardi?