Il popolare detto: “mai dire mai”, ha dimostrato in più occasioni di avere fondamento. Quante volte sarà accaduto nella storia dell’uomo che pronunciamenti definitivi di contrarietà su un qualcosa, successivamente nel tempo sono stati rimeditati. Non è sfuggito a questa regola neanche il tema assai delicato della produzione di energia elettrica con le tecnologie nucleari, su cui si erano sprecati dinieghi e feroci giudizi.
Noi italiani, ad esempio, con il referendum del 1987 poi ripetuto nel 2011; rispettivamente suscitati dai fatti di Chernobyl e poi di Fukushima, in un sol colpo chiudemmo ben cinque centrali nucleari costate ai contribuenti cifre iperboliche seppure dovevano servire a superare la esposizione economica italiana degli acquisti all’estero di carbone, petrolio e gas, che faceva costare (come continua a costare ora) mediamente il 30% in più di quella prodotta con il nucleare. Anche i Belgi decisero lo stop al nucleare, mentre i tedeschi ne chiusero alcune facendo restare in funzione altre, che ancora attualmente sono in piena attività.
Decidere il no per il nucleare per potenze industriali come l’Italia e la Germania non fu allora una scelta semplice, sapendo che il costo molto più alto della nuova bolletta dell’energia non nucleare, per le produzioni industriali ci avrebbe esposto pericolosamente nella competizione con i concorrenti industriali. Ma poi gli accadimenti luttuosi influenzarono la opinione pubblica sollecitata da ambienti in buona fede ma anche da chi, sempre in agguato, ha manovrato (e manovra ancora) l’informazione per mantenere lo status quo, cioè gli affari enormi delle forniture di petrolio e gas.
Ora sull’onda degli aumenti esorbitanti del gas e dei petroli, del ricatto potenziale dei paesi fornitori, economico e politico, si ritorna a discutere del possibile potenziamento della produzione di energia nucleare da affiancare alle altre produzioni rinnovabili. D’altronde la maggior parte dei paesi membri della Unione Europea, Francia in testa, si sono affidate da tempo a questa modalità di produzione, consci da tempo dei costi più bassi che si ottengono e delle bassissime emissioni rispetto al carbone, carburanti e gas. A questa convinzione storicamente acquisita, se ne aggiungono altre che sollecitano questi paesi a proseguire su questa strada dovendo fare i conti con nuovi problemi riguardanti la conquista dell’autonomia strategica dell’energia.
I problemi da valutare sono: le fonti rinnovabili per raggiungere la dimensione sufficiente prevista dal piano europeo di transizione dal fossile al rinnovabile in Europa ed in Italia, avrà bisogno da 15 a 20 anni di tempo; in conseguenza i paesi fornitori di gas e petrolio in questo lasso di tempo faranno pagare care le loro forniture sia sul piano economico che politico; da soli l’idroelettrico e soprattutto il fotovoltaico, non potranno assicurare certezza di continuità della fornitura a causa della imprevedibilità ed imponderabilità delle produzioni realizzate da una rete estesissima di terminali che porta a rischi di frequenti blackout.
Non è un caso che l’Unione Europea propone di riclassificare l’utilizzo del nucleare che produce energia pulita e che ormai può disporre di sistemi molto più sicuri del passato, per sostituire validamente il super inquinante carbone che storicamente però è stato lo zoccolo duro della garanzia di continuità della erogazione dell’energia elettrica. Di fronte a questi fatti c’è solo da sperare che la disputa sulla strategia da adottare non sia influenzata fortemente da ideologie o dall’attaccamento alle proprie opinioni del passato. L’energia e’ la risorsa più importante per la modernità e per le produzioni, ottenerla in piena autonomia politica, sicura, pulita, poco costosa, è l’obiettivo ottimale da conseguire al costo anche di ritornare sulle decisioni del passato. Ma occorre decidere presto.