Vale la pena essere curiosi? La curiosità viene sfruttata dall’intera politica informativa dei media: cerca ogni tipo di opportunità per stimolare la nostra curiosità e quindi catturare la nostra attenzione e condurci dove vuole. La curiosità è come un amo da pesca. Ci espone a una varietà di situazioni difficili da prevedere. Come è stato detto senza mezzi termini da qualche parte, “La curiosità uccide il gatto!”.
Non c’è da stupirsi, quindi, che nella più antica tradizione spirituale, nel monachesimo, la curiosità sia stata combattuta in vari modi. Era vista come la prima fonte di distrazione, ma anche come un’opportunità di peccato, giudizio o condanna. L’atteggiamento di concentrazione e di vigilanza che lo accompagnava aveva lo scopo di facilitare la permanenza dell’anima presso Dio in modo che nulla potesse separarci da Lui. Questo, del resto, era il senso della vita di clausura. Conosciamo casi di monaci che erano così concentrati su Dio da non guardare mai fuori dalla finestra o uscire dalla loro cella. D’altra parte – un segno di crisi spirituale, sotto forma di accidia – era guardare fuori dalla finestra.
C’è anche un’altra curiosità: la curiosità per Dio. Essa ha una dimensione speciale perché riguarda una realtà invisibile e incomprensibile. Forse è per questo che oggi è così scarsa. L’uomo moderno non è più sensibile a Dio. È troppo comodo e/o troppo traumatizzato per questo. Preferiamo cercare il sensazionalismo. Spesso queste diventano un sostituto dell’esperienza spirituale. Basta citare varie apparizioni, miracoli, fenomeni straordinari. Suscitano così tante emozioni e coinvolgimento. Come mai questa curiosità?
Il Vangelo di oggi ci dà una risposta interessante. Da un lato, il Signore Gesù sembra deridere la curiosità, ma dall’altro la elogia. Siamo testimoni della curiosità di una persona di peso, probabilmente con un’alta opinione di sé, ma allo stesso tempo non esente da piccoli difetti o dipendenze. Tale era la curiosità. Certe cose non sono appropriate in una certa posizione, e non solo per le norme culturali, ma per una certa coerenza di atteggiamento. Zaccheo, tuttavia, non si preoccupa di questo. La curiosità ha la meglio. Si arrampica sull’albero. Pensava forse che qualcuno lo avrebbe visto in questa posizione ridicola? Oppure sperava che l’attenzione della folla sul Signore Gesù che passava lo avrebbe risparmiato dagli sguardi della gente? Ma forse era così curioso da non pensare alle conseguenze sociali?
Ed è qui che il Signore Gesù lo smaschera. Rivolgendosi a tutti, si alza in piedi e si rivolge a lui. Da un lato, la vergogna. Dall’altro, la distinzione. Ecco i due volti della curiosità. Se è onestamente motivato, si difende. E questo il Signore Gesù lo sentiva certamente con il cuore. È così che la curiosità diventa la porta d’accesso all’incontro con Lui, un incontro che porta alla conversione e alla generosa riparazione dei peccati commessi.
Vale quindi la pena di essere curiosi? Dalla storia di Zaccheo sembra di sì. Non sappiamo molto delle sue motivazioni. Il fatto che abbia esposto la sua reputazione al ridicolo può indicare che desiderava soprattutto vedere il Signore Gesù. Perché? Non sappiamo nemmeno questo con esattezza. Tuttavia, ha rischiato di essere ridicolizzato. Ha investito la sua reputazione. Forse è sufficiente, soprattutto oggi, in un’epoca di eccessiva preoccupazione per il proprio ego e di indifferenza verso Dio. In un simile contesto, la curiosità può essere un’opportunità. Anche la curiosità per le cose grandi e straordinarie. Chissà, forse il Signore Dio ne manda tanti oggi per spronarci a una maggiore apertura verso di Lui e, di conseguenza, a una conversione, forse anche alla scala di Zaccheo?