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Diritto al cibo e lavoro di qualità: due facce della stessa medaglia

Curare la sicurezza dei prodotti, garantire l’igiene nei processi produttivi, monitorare le filiere per prevenire qualsiasi forma di contaminazione nociva: sono tre obiettivi fondamentali che ogni Paese deve perseguire costantemente per tutelare la salute pubblica e favorire l’accesso per tutti al cibo di qualità. Un diritto umano fondamentale, eppure violato in molte parti del mondo e per diverse fasce sociali, in particolare in questa complessa fase storica, in cui le tensioni internazionali e le impennate inflazionistiche stanno mettendo a dura prova imprese e consumatori.

La Giornata Mondiale della Sicurezza Alimentare, che ricorre oggi, è un’opportunità in più per mettere in risalto il valore di questa sfida globale. Proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2018, con la Risoluzione 73/250, questa ricorrenza è stata pensata proprio per tenere alta l’attenzione e ispirare azioni concrete a favore dell’accesso all’alimentazione, con l’obiettivo di “prevenire, individuare e gestire i rischi di origine alimentare, contribuendo alla sicurezza alimentare, alla salute umana, alla prosperità economica, all’agricoltura, all’accesso al mercato, al turismo e allo sviluppo sostenibile”.

Il tema di quest’anno, “cibo sicuro oggi per un domani sano”, ci ricorda che la produzione e il consumo di cibo sicuro hanno benefici per le persone, per l’economia, per l’ambiente. Sono tutte tematiche strettamente connesse tra loro, che invitano anche il sindacato ad operare affinché il raggiungimento di questi obiettivi passi per il miglioramento delle condizioni di lavoro: perché diritto al cibo sano e lavoro di qualità, a ben vedere, sono due facce di una stessa medaglia. Abbiamo dalla nostra parte diversi strumenti. Anzitutto, quelli della rappresentanza e della buona contrattazione, che rimangono leve essenziali per innalzare l’asticella dei redditi, delle tutele, della produttività, della formazione e di conseguenza delle competenze dei lavoratori, nonché per incalzare le imprese sulla loro responsabilità sociale e allargare il perimetro della partecipazione dei dipendenti alle scelte strategiche delle aziende.

Rientra in questa prospettiva anche la convenzione sulla formazione che Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil hanno sottoscritto con Unionfood, principale associazione di imprese alimentari che vanta 90 mila addetti e 900 importanti marchi del cibo made in Italy, e Assobirra, Associazione dei Birrai e dei Maltatori. Un accordo che vede la collaborazione delle parti sociali con l’Università degli Studi dell’Insubria e la rete degli Istituti tecnici superiori per implementare l’integrazione tra istruzione e lavoro nell’industria alimentare, con l’obiettivo principale di condividere programmi di studio e aggiornamento, scambiare informazioni teorico-pratiche, attivare stages e percorsi di apprendistato. Una collaborazione, quella tra mondo del lavoro, della scuola e dell’università, che intendiamo incentivare esplicitamente anche con il prossimo ccnl di settore. Nella consapevolezza che da qui ai prossimi anni mancheranno oltre 20 mila tecnici specializzati nel settore a causa delle trasformazioni tecnologiche e delle transizioni digitale ed ecologica, che sono invece un elemento di forza della nostra industria in termini proprio di innovazione, ricerca e sviluppo anche su questioni cruciali come la sicurezza alimentare.

Anche sul piano culturale, inoltre, il sindacato può e deve fare molto, divulgando le buone pratiche con cui si riduce lo spreco del cibo e delle risorse naturali, formando i consumatori su come orientare il mercato verso produzioni etiche e sostenibili, accorciando le filiere agroalimentari per innalzare la catena del valore in tutto il percorso produttivo e distributivo. L’Organizzazione Mondiale della Salute e la Fao informano che ogni anno 200 malattie di origine alimentare causano 600 milioni di malati e 420 mila morti evitabili. Sono dati allarmanti, che peraltro ci parlano di una forte vulnerabilità soprattutto per i giovani e per le fasce più povere della popolazione mondiale.
Invece invertire la rotta è possibile. Lo abbiamo fatto ad esempio nel settore lattiero caseario, in cui l’Italia si distingue per la qualità dei prodotti e la sostenibilità ambientale dei propri allevamenti. Oppure nel settore vitivinicolo, dove l’Italia è passata in pochi anni dallo scandalo del metanolo alle eccellenze che tutto il mondo ci riconosce. Così come avviene con i tanti controlli eseguiti sia a valle che a monte nella filiera delle carni, che hanno messo a riparo il made in Italy da varie malattie infettive che altrove hanno decimato tanti allevamenti e in alcuni casi colpito anche la salute dell’uomo.

Allora è lecito pensare che anche in tutte le altre filiere l’Italia può essere da esempio per tanti altri Paesi, purché si dia spazio a una visione di buon senso in cui non trovino spazio certi abomini legislativi come il cosiddetto “Nutriscore”, proposta normativa che piace molto ad alcuni Paesi del nord Europa e che, non a caso, anziché informare correttamente il consumatore ne orienta le scelte sotto la spinta di interessi puramente commerciali, con il risultato paradossale che alcune bevande gassate vengono classificate come salutari rispetto all’olio extravergine di oliva e tanti altri alimenti della dieta mediterranea. Perché la sfida è produrre meglio e di più con sempre meno sprechi, meno energia, meno acqua. E garantire a ciascuno il diritto alla salute e al cibo, che non è soltanto nutrimento ma anche cultura, identità, relazione con l’altro.

Onofrio Rota, Segretario generale Fai-Cisl

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