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Culle vuote e tasche vuote

La pandemia di Covid ha provocato lutti, sofferenze e impoverimento. Tuttavia, la “scossa” del coronavirus ha sollevato riflessioni e ripensamenti sul nostro stile di vita che possono aprire a nuove opportunità e cambi di paradigma della nostra società. La società nichilista e individualista Occidentale si è trovata di fronte alla solitudine e all’abbandono terapeutico degli anziani e allo stesso tempo ha dovuto attingere alla grande risorsa delle reti familiari, che in alcuni Paesi come l’Italia rappresentano il più forte e presente ammortizzatore sociale. Sulle famiglie è stato scaricato tutto il peso del lock down e queste hanno assunto il ruolo di insegnanti, tecnici informatici, operatori sanitari e psicologici.

Questo modello che non ha eguali nell’antropologia umana è incrinato da un tasso di denatalità senza precedenti che sta minando l’equilibrio intergenerazionale. In pratica il Coronavirus ha contribuito a mettere a fuoco ancora di più il punto delle questione: senza figli non c’è futuro. Si tratta di una crisi da sempre additata dalla Chiesa e dagli ambienti cattolici che promuovono l’apertura alla vita e alla filiazione e che ora, dopo decenni di una pericolosa visione ideologica, inizia ad essere riconosciuta anche dai vertici della politica nazionale ed europea.

Sulla demografia è stato aperto un vivace dibattito in seno alle istituzioni di Bruxelles anche grazie alle pressioni esercitate la Federazione delle Associazioni di famiglie cattoliche (Fafce) che ha trovato un attento interlocutore nel semestre croato di presidenza dell’Unione europea che scade proprio oggi.

Il webinar organizzato dalla Fafce la scorsa settimana – che aveva per titolo “Sfide demografiche e sviluppo sostenibile. Un nuovo capitolo per le politiche familiari in Europa?” – ha visto la partecipazione del vicepresidente della Commissione europea con delega alla demografia, Dubravka Šuica, la quale ha sottolineato che “questa crisi ha messo in luce molte vulnerabilità, alcune delle quali sono legate al profondo cambiamento demografico che già colpisce le nostre società e comunità in Europa”.

L’evento moderato dal segretario generale della Fafce, Nicola Speranza, è stato presenziato anche da Marko Vidakušić, coordinatore del team per l’occupazione e la politica sociale della Rappresentanza permanente della Croazia presso l’Unione europea, il quale ha fornito una panoramica delle azioni intraprese dal Consiglio dell’Ue durante l’ultimo semestre, in particolare sulle conclusioni del Consiglio su “Sfide demografiche – la strada da percorrere”, invitando gli Stati membri a “promuovere e enfatizzare politiche adeguate e coordinate che offrano diversi tipi di sostegno finanziario e di altro genere alle famiglie, in particolare a coloro che crescono i bambini”.

In merito al grave problema delle culle vuote lo scorso 5 maggio si erano confrontati i ministri del lavoro e della politiche sociale di tutti gli Stati membri. Gli esponenti dei diversi governi nazionali hanno discusso dei piani di ripresa economica e le sfide della demografia nel quadro della pandemia del Coronavirus. I ministri hanno sottolineato la necessità di attuare strategie per proteggere i soggetti più vulnerabili come anziani e bambini, garantire un equilibrio tra lavoro e vita privata per le famiglie e rendere le aree più colpite dalla recessione attraenti per le giovani generazioni.

A destare l’attenzione della politica è stato, tra le altre cose, il rapporto sull’impatto dei cambiamenti demografici pubblicato sul sito della Commissione Europea, con il fine di avviare “un processo che contribuirà a individuare azioni e soluzioni concrete, tenendo conto degli insegnamenti tratti dalla pandemia, per aiutare le persone, le regioni e le comunità che ne sono maggiormente colpite e per consentire loro di adattarsi alle realtà in continua evoluzione”. Il documento fotografa una situazione preoccupante e presenta stime desolanti: entro il 2070 il 30,3% della popolazione europea dovrebbe avere almeno 65 anni (rispetto al 20,3% nel 2019) e il 13,2% dovrebbe avere almeno 80 anni (rispetto al 5,8% nel 2019).

Nel 2018, in Europa, il numero medio di figli per donna era di 1,55 e l’età media al momento del parto era di 31,3 anni. L’Italia è maglia nera insieme alla Spagna con appena 1,29 figli per donna, valori molti inferiori alla soglia che garantisce il ricambio generazionale, ovvero circa 2,1 figli. La stessa Commissione Europea scrive che “in tutta l’UE la composizione delle famiglie sta cambiando: accanto alle famiglie composte da due genitori con figli troviamo quelle composte da persone che vivono da sole, da genitori soli o da coppie senza figli”.

Gli impatti evidenziati dalla Commissione sono sotto gli occhi di tutti: la popolazione in età lavorativa sta diminuendo; occorrerà riflettere su come finanziare una spesa pubblica più elevata legata all’invecchiamento; la quota della popolazione e del PIL dell’Europa diminuirà proporzionalmente rispetto al resto del mondo.

Compresa l’entità del problema è ora che l’Europa passi dalle parole ai fatti. Ingenti stanziamenti economici per le politiche familiari sono sicuramente necessari ma non sufficienti ad invertire questo trend mortifero. Sicuramente bisognerà intervenire sulle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro, agevolando la madri lavoratrici con smart working, congedi e asili nidi. Tutto questo però sarà ancora inefficace senza un’azione altrettanto forte sul piano culturale, volta a presentare  la famiglia e l’apertura alla natalità come una scelta vincente. Insomma, bisogna prendere atto che il modello iper-consumista del piacere effimero che mette in contrapposizione famiglia e libertà individuali è arrivato su un binario morto.

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