L’amicizia sociale non ha frontiere
Nell’enciclica “Fratelli tutti” papa Francesco sottolinea come l’amore che si estende al di là delle frontiere abbia come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è “condizione di possibilità di una vera apertura universale”. Non si tratta, avverte il Pontefice, del “falso universalismo di chi ha bisogno di viaggiare continuamente perché non sopporta e non ama il proprio popolo”. Chi guarda il suo popolo con disprezzo, stabilisce nella propria società categorie di prima e di seconda classe, di persone con più o meno dignità e diritti. In tal modo nega che ci sia spazio per tutti.
“Neppure sto proponendo un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare- evidenzia Jorge Mario Bergoglio-. C’è un modello di globalizzazione che «mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo. La nostra famiglia umana ha bisogno di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali”.
Smettiamola di odiare, sforziamoci di perdonare, ripete il Santo Padre. Un’esortazione quanto mai attuale. Si pensi, infatti, all’assurda guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina e all’aggravarsi del conflitto in Medio Oriente, con il micidiale attacco militare di Hamas contro Israele e con la risposta sproporzionata di quest’ultimo. Una situazione di devastazione sul punto di allargarsi coinvolgendo Iran e i suoi alleati Hezbollah. Gli abomini prodotti dalle guerre in atto – con i mutamenti degli equilibri religiosi e geopolitici, con gli sconvolgimenti delle relazioni internazionali dal punto di vista giuridico, militare e commerciale – richiedono il ripensamento non solo della configurazione dell’Occidente europeo sia nei confronti delle pressioni russe sia della dipendenza dagli Stati Uniti, ma anche degli stessi rapporti mondiali fra i popoli entro la famiglia umana.
Bisognerà battersi affinché non vi siano analfabeti di democrazia. Occorrerà adoperarsi per ripensare le regole del gioco, per ridisegnare l’assetto istituzionale entro il contesto del bene comune mondiale. La democrazia rinascerà eticamente, culturalmente, se si incentrerà sempre più su un umanesimo trascendente e comunitario, bypassando l’umanesimo transumano; se saprà valorizzare i più poveri. Senza di loro la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, perde rappresentatività. Diventa una democrazia di pochi per pochi.
Per rinnovare la cittadinanza democratica è indispensabile offrire alle persone, e soprattutto ai giovani, un’educazione etica e civica. Bisognerà spiegare cos’è la democrazia, cosa significa, come funziona, quali responsabilità hanno i cittadini. Serve una nuova evangelizzazione del sociale e la rialfabetizzazione politica rispetto alla democrazia. Funzionale a tutto questo sarà il rilancio di una nuova evangelizzazione del sociale, quale grembo evangelico e culturale che alimenta le radici della democrazia sostanziale. Solo una nuova evangelizzazione del sociale favorirà l’elaborazione di un nuovo pensiero e di una nuova cultura politica, a fronte della complessità globale, della terza guerra mondiale a pezzi, delle epidemie, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici, della cultura dello scarto.
È tempo ormai di riflettere seriamente sul vuoto tragico in cui sono precipitati i cattolici. L’attuale situazione di diaspora oltre che essere un errore fatale dal punto di vista ideologico lo è anche dal punto di vista pratico, ossia dell’apporto di uno specifico contributo. in vista di una democrazia ad alta intensità, della realizzazione del bene comune della famiglia umana. Come cattolici, ha sottolineato papa Francesco a Trieste, non possiamo accontentarci di una fede marginale o privata. C’è bisogno di una fede incarnata, la cui dimensione sociale porta ad impegnarsi nella redenzione e nell’umanizzazione progressive delle relazioni e delle istituzioni, compresa la democrazia come regime politico e come forma di organizzazione delle istituzioni pubbliche.
Se la dimensione sociale della fede non viene debitamente esplicitata si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice. Si vanifica l’integralità della redenzione. Si cadde in una specie di eresia che nega la reale incarnazione di Gesù Cristo. Occorre vivere, come propone l’enciclica “Fratelli tutti”, l’amore politico, che è una forma di carità – per san Paolo VI la più alta, dopo quella della preghiera – che permette alla politica di essere realista, di essere all’altezza delle sue responsabilità, sulla base di un’intensa passione civile.