C'è un abbraccio commovente che i media ci hanno descritto in questi giorni. Una piccola creatura che si stringe, in fondo al mare, con la sua mamma. Questo gesto è così toccante che non può essere sottaciuto da chiunque veramente tenga alla vita di questi nostri fratelli e sorelle, dei neonati e bambini colpevoli di aver sperato in una vita migliore e di aver creduto ai trafficanti di essere umani. Questo dramma non si arresta, anzi, trova terreno fertile nelle deboli politiche europee, al momento solo fumose, astratte e contraddittorie.
Così anche l’offensiva anti-curda della Turchia ci interpella per molte ragioni. Il sangue versato in queste ore renderà ancora più complessa la soluzione delle crudeli e cronicizzate controversie regionali. Ci sono Paesi come il Libano, sul cui territorio il numero di profughi è ormai un terzo della popolazione locale. Il fragore delle armi non farà che creare ulteriore odio perché la violenza non è mai la soluzione alle contese, né può esserlo una politica che sposta truppe sulle carte geografiche in un tragico delirio di sopraffazione. A noi, come uomini di pace, stanno a cuore le persone, non i conciliaboli nelle segrete stanze né gli inconfessabili opportunismi delle complicità e dell’indifferenza.
Ora la priorità è salvare, in ogni modo e con qualunque mediazione, gli uomini, le donne e i bambini costretti a scappare dalle loro case distrutte dai colpi di mortaio e dai bombardamenti. Per una volta almeno l’Unione Europea smetta di parlare a più voci e si mostri compatta nel promuovere corridoi umanitari e negoziati multilaterali per consentire alle popolazioni indifese di uscire dalla morsa dei combattimenti. Nessuno può fingere di non sapere quale sia la posta in gioco. Chiudere gli occhi mentre vengono spezzate vite umane equivale a sottoscrivere la loro condanna a morte. Il leader turco Erdogan ha minacciato di lasciar partire milioni di profughi siriani verso i paesi europei se l’Ue farà valere il proprio peso diplomatico per contrastare le sue mire di potere in un’area già funestata da una strage senza tregua
Papa Francesco ha parlato per primo di una guerra mondiale a pezzi e ha avvertito l’umanità che per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra: “Ci vuole coraggio per dire sì all'incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”, avverte il Pontefice.
Siamo nuovamente in piena emergenza umanitaria alle porte dell’Europa e i mass media ci inondano di retroscena e congetture sugli effetti geopolitici e le conseguenze internazionali di quanto sta accadendo. A noi, invece, inquieta e sconcerta la sofferenza di migliaia di persone calpestate dal tornaconto delle nazioni. Ancora una volta sono queste vittime innocenti a pagare il conto degli interessi strategici dei potenti del mondo. E così quell’abbraccio in fondo al mediterraneo di un bambino con la sua mamma possa scuotere gli indifferenti e risvegliare le coscienze delle istituzioni internazionali.