Stamattina carabinieri e guardia di finanza hanno sequestrato beni per 20 milioni di euro alla “famiglia” del boss Messina Denaro, la “primula rossa” di Cosa Nostra. I provvedimenti di sequestro, disposti dalle sezioni Misure di prevenzione dei Tribunali di Palermo e di Trapani, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, giungono al termine di indagini economico-patrimoniali svolte congiuntamente dai finanzieri del Gico di Palermo e dello Scico, e dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani. Le indagini hanno portato alla luce le modalità di controllo delle attività economiche e produttive da parte dell’organizzazione capeggiata da Messina Denaro, attraverso la gestione occulta di società e imprese attive in diversi settori dislocate nelle province della Sicilia e del Sud Italia. I beni sequestrati riguardano complessi aziendali, attività agricole e commerciali, terreni, fabbricati, autoveicoli e disponibilità finanziarie per oltre 20 milioni di euro.
Tra i destinatari dei provvedimenti di sequestro vi è Giovanni Filardo, cugino di Messina Denaro e titolare di fatto di varie società edili; Francesco Spezia, titolare fittizio della “Spe.Fra Costruzioni srl”; Vincenzo Torino e Aldo Tonino Di Stefano, considerati prestanome della “Fontane d’oro Sas”, impresa del settore olivicolo, Antonino Lo Sciuto, che avrebbe gestito, per conto dell’organizzazione, la realizzazione di importanti commesse pubbliche e private nell’area di Castelvetrano e Nicolò Polizzi, secondo l’accusa “uomo d’onore” della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara.
Matteo Messina Denaro è figlio di Francesco Messina Denaro, capo della cosca di Castelvetrano e del relativo mandamento. Insieme al padre, Matteo svolgeva l’occupazione di fattore presso le tenute agricole della famiglia D’Alì Staiti, già proprietari della Banca Sicula di Trapani – il più importante istituto bancario privato siciliano – e delle saline di Trapani e Marsala. Dopo la morte del padre Francesco, Matteo è diventato capomandamento di Castelvetrano e rappresentante mafioso della provincia di Trapani. Venne denunciato per associazione mafiosa nel 1989. Nel luglio 1992 fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo – capo della cosca di Alcamo – e della compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che strangolò nonostante fosse incinta di tre mesi. È latitante dall’estate del 1993, quando venne emesso nei suoi confronti un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto ed altri reati minori in seguito alla stagione degli attentati dinamitardi organizzati da Cosa Nostra.