Un clan di nigeriani che si spartiva una grossa fetta del mercato della droga e della prostituzione, in Piemonte e in Emilia-Romagna, è stato smantellato dalla polizia di Torino e Bologna durante due operazioni in corso dalle prime ore di questa mattina. Sono oltre 15 i fermati dalla Dda di Bologna ai quali è stata contestata l'associazione mafiosa.
Cult Maphite
In manette sono finiti anche i capi del cult Maphite, una specie di setta con un modo di comunicare conosciuto soltanto dagli adepti; proprio come nelle sette, anche nel gruppo mafioso erano rigidissime le regole di comportamento, puntualmente codificate, con rituale e modalità di ingresso all'interno dell'organizzazione ben precise che in parte ricalcavano quelle più conosciute delle organizzazioni di tipo mafioso italiane. I capi sono accusati di decidere le nuove iniziazioni, di gestire la prostituzione, nonché di mantenere i rapporti con le altre organizzazioni criminali e di gestire lo spaccio di droga nelle piazze cittadine. L'indagine è stata avviata nel 2017, grazie anche alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia. Sono stati ricostruiti ruoli, gradi, gerarchie e regole di funzionamento all'interno dell'organizzazione criminale che si occupava di spaccio di sostanze stupefacenti e uso indebito di strumenti di pagamento elettronico. Sono emersi anche frequenti e violenti scontri con altri gruppi nigeriani.
Il caso perugino
Solo ieri la Guardia di Finanza – Gruppo Operativo Antidroga (Goa) – di Perugia ha arrestato un gruppo criminale composto da 6 nigeriani e 2 tunisini che aveva messo le mani sul mercato della droga del capoluogo umbro. La base del clan, dove si prendevano decisione e si riceveva la droga dai vari corrieri, era in zona Piazza del Bacio, ma la vendita era localizzata in quasi tutto il centro storico di Perugia. Se in passato i caln mafiosi nigeriani perugini erano dediti soprattutto alla spaccio di marijuana e hashish, il business di questo ultimo sodalizio si era evoluto passando alle più redditizie cocaina ed eroina. Elemento significativo, il gruppo perugino si riforniva della droga, anche per ingenti quantitativi, da connazionali residenti in varie regioni d’Italia, tra cui Veneto, Emilia Romagna e Campania. Non si escludono perciò connivenze e possibili contatti con gli arrestati di oggi.