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Non si può morire così

Non si può morire così”. Le eloquenti parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riassumono in modo breve ma denso di significato l'assurdità di quanto accaduto a Corinaldo, in provincia di Ancona. Morire durante un concerto, nel pieno dell'adolescenza, di una serata di divertimento e spensieratezza ascoltando musica. E' successo anche in un passato anche recente, ma stavolta le armi non c'entrano, a meno di non considerare il panico come un'arma, silenziosa ma dagli effetti devastanti. Letale quando, come nel caso del locale Lanterna Azzurra, una folla di persone si raduna in uno spazio troppo esiguo. E' accaduto, sì, ed è successo di nuovo la notte scorsa. Di precedenti ne esistono molti nei quali, panico o meno, l'assembramento esagerato ha provocato tragedie di proporzioni immani. E ogni volta tornano i soliti interrogativi: ci si chiede come sia accaduto, perché sia stato consentito un tale raduno, se tutto funzionasse a dovere. Al loro fianco, il dolore delle famiglie delle vittime e di un Paese intero, non importa quale sia.

Un nemico letale

A Corinaldo sono morte solo persone giovani. Adolescenti, nessuno più grande di 16 anni. E una mamma, giovane, anzi giovanissima: appena 38 anni, con 4 figli. Tragedie che spezzano famiglie, infrangono sogni e distruggono vite. Dei dettagli giudiziari si stanno già occupando autorità competenti, esiste un'indagine in corso che accerterà eventuali responsabiltà, anche se qualcosa si sta già muovendo sui due punti fermi dell'eccessivo numero di presenze all'interno del locale e l'utilizzo di uno spray al peperoncino, cirocostanza peraltro già accaduta in altre situazioni. Ciò che resta è la cronaca di una serata che, dalla spensieratezza dell'attesa del proprio cantante preferito, ha assunto in brevi frangenti la dimensione di un incubo. Sull'uso dello spray sono in corso valutazioni ma, qualora fosse stato veramente usato, sarebbe stato lo strumento innescante di una dinamica difficilmente controllabile, come il panico. Generale, massiccio, che ha provocato una fuga pressoché istantanea verso le tre uscite di sicurezza (tutte aperto o meno, anche questo è al vaglio degli inquirenti), generando un imbuto umano che non ha impiegato molto a trasformare il concerto in un orribile dramma a cui, nelle altre circostanze simili, è stato dato un nome: manifestazione di panico collettivo. Quello che accade a Piazza San Carlo, a Torino. Anche lì si parlò di una crisi provocata dall'utilizzo di spray al peperoncino da parte di una presunta banda di rapinatori e, anche in quel caso, la fuga incontrollata provocò il disastro: un morto e 1526 feriti.

Ferite aperte

Il sovraffollamento è un'arma pericolosa, l'assembramento di un numero troppo grande di persone ha già dimostrato in passato di essere letale. Spray o meno, qualunque sia la motivazione scatenante, l'addensamento incontrollato resta uno dei peggiori rischi legati ai grandi eventi. Un concerto, certo, come al LoveParade di Duisburg nel 2010, ma anche una partita di calcio, come a Hillsborough nel 1989, quando il riempimento incontrollato della Leppings Lane dello stadio di Sheffield provocò una strage, uccidendo 96 persone. Anche in quel caso, per la maggior parte tifosi di giovane età. Un disastro che, per tutti, ha costituito un monito sulla necessità di imporre maggiori controlli e sorveglianza in occasione di eventi partecipati da migliaia di persone. Eppure accadrà di nuovo, a Duisburg, quando lo stop agli ingressi all'area del LoveParade non fu rispettato dai partecipanti, in breve tempo rimasti intrappolati nei sottopassaggi di accesso al luogo del concerto. Ne morirono 21, schiacciati nella calca che si creò per cercare di fuggire da quella prigione di corpi.

Vite spezzate

Fattori diversi, in un certo senso, ma stesso tragico risultato: a Corinaldo è stata aperta l'ennesima ferita sul volto del nostro Paese, costretto a fare i conti con un nuovo elenco di vittime alle quali, ora, non resta che fare giustizia. Nulla, però, che possa lenire il dolore delle rispettive famiglie. Asia, Daniele, Benedetta, Mattia ed Emma erano ragazzi, giovanissimi, come molti della loro età appassionati a quel genere musicale che desideravano ascoltare dal loro cantante preferito. Le loro storie sono quelle di ogni ragazzo di 14, 15 o 16 anni, fatte di scuola, amicizie, divertimento. Quell'età in cui si pongono le basi dei propri sogni. Per mamma Eleonora quella vita era già costruita: nella normalità della sua casa e nello sforzo quotidiano per crescere i suoi 4 figli. Non aveva voluto lasciare che una di loro, 11enne, andasse da sola. E come lei tante mamme e papà, in attesa fuori dal locale per riportare a casa i propri figli dopo il concerto. Storie di vita, appunto, stroncate sul nascere o nel loro divenire. Vite perdute per le quali nessuna giustizia potrà mai dirsi piena.

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