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L'orrore dei teppisti e gli errori della polizia inglese

Partiamo dalla fine, dalla sconcertante vicenda di un uomo che in un letto dell' ospedale Walton di Liverpool lotta per rimanere in vita. Nel calcio, soprattutto oggi che tante barriere sono state abbattute, non può esserci spazio per chi nel nome di un pallone offende, umilia e magari uccide. Di Sean Cox, 53 anni, irlandese, si sa che è un tifosissimo dei Reds e che era arrivato a Liverpool in compagnia del fratello per vedere la semifinale di Champions contro la Roma. Poi, d'improvviso, la sua trasferta e la sua vita, hanno preso una strada diversa. Preso a cinghiate davanti allo stadio da un gruppo di 13 persone, è caduto a terra battendo violentemente la testa probabilmente nel tentativo di divincolarsi da quella morsa di odio e violenza. Chi ha sbagliato, è giusto che paghi. Quello di Liverpool appare come un attacco premeditato, da parte di un gruppo di pseudotifosi romanisti che hanno osato sfidare l'impossibile, andando a prendere i loro “nemici” nella loro tana. Un agguato che secondo fonti della polizia inglese, sarebbe stato pianificato fin dalla partenza dall'Italia. Volto coperto, felpe scure, incappucciati. Sarebbero spuntati da Venmore Street e a passo di carica sono arrivati a Walton Breck Road, il cuore della tifoseria inglese, davanti ad Albert Pub dove si concentrano i rossi prima di ogni gara. E qui sarebbe partito l'agguato, quanto meno la prima parte perché poi gli inglesi, dopo il primo momento di sconcerto, hanno reagito, poco prima dell'intervento della polizia a cavallo che ha disperso i violenti. La polizia di Liverpool, insieme alla Digos italiana, sta studiando i filmati in loro possesso. Due tifosi sono stati arrestati: sono stati interrogati e hanno negato di essere gli autori del pestaggio. La giustizia britannica ritiene Filippo Lombardi, 21 anni, responsabile di aggressione e lesioni gravi, mentre Daniele Sciusco, 28 anni, è accusato di disordini violenti. Accuse meno gravi del tentato omicidio ipotizzato subito dopo il fermo. In ogni caso resteranno in carcere fino all'inizio del processo, il 24 maggio. Ma la Digos, che collabora con la polizia inglese, sta cercando di ricostruire l'intera vicenda e identificare altri responsabili attraverso le registrazioni delle telecamere.

La Digos aveva avvisato

Fin qui la cronaca. Ma non ci si può fermare alle sole apparenze. E' chiaro che chi ha sbagliato, deve pagare perché il calcio è spettacolo, non violenza. Ma ci sono altri interrogativi sui quali bisognerebbe riflettere. Il primo è che dalle prime ore del mattino giravano per Liverpool migliaia di tifosi romanisti, raggruppati nella zona portuale davanti le statue dei Beatles, o nei centri commerciali e nei vari pub e ristoranti del centro. E non è successo assolutamente nulla. Lo stesso arrivo allo stadio è stato regolato in maniera tranquilla. Niente che potesse far pensare all'inferno che di lì a poco sarebbe scoppiato. Ma perché è successo? E allora c'è da valutare il fatto che la Digos aveva avvertito i colleghi inglesi dell'arrivo a Liverpool di un gruppo di circa duecento tifosi tra i più violenti della frangia romanista, tra i quali pregiudicati, altri colpiti da daspo. Qualcuno è partito in auto parecchi giorni prima, varcando i confini senza essere identificato. Altri sono arrivati in aereo via Manchester e la segnalazione della Digos era stata chiara sul loro arrivo a Lime Station. Ma la polizia inglese ha sottovalutato il tutto e ad attendere questi teppisti non c'era l'ombra di un poliziotto. Così i violenti hanno avuto vita facile.

Indisturbati fino allo stadio

A piedi da Line Street sono arrivati in zona Anfield. Qui la polizia aveva presidiato con un ingente schieramento di forze l'ingresso del settore ospiti. Dove non è successo nulla. Il gruppo dei violenti è invece arrivato indisturbato fino alla Kop, la storica curva del Liverpool. E lì, senza copertura della polizia, è partito l'assalto. Molti non avevano neppure il biglietto di ingresso ad Anfield, ma a loro poco importava perché nel linguaggio della curva contano ben altri fattori. Contano le cicatrici che sono i tatuaggi dell'”onore”. Perché si diventa capi e ci fa rispettare in Curva per questo. Ma questo è inaccettabile, la Curva deve tornare ad essere tifo e passione e non violenza e certi violenti vanno tenuto fuori. Per sempre. Il tutto mentre all'interno di Anfield solo spettacolo, goliardia eccetto quello striscione deprecabile che inneggiava a Daniele De Sanctis, condannato in appello a 16 anni per l'omicidio di Ciro Esposito e sul quale anche la Uefa ha aperto un secondo fascicolo. Ma l'agguato alla Kop è senza senso perché a pochi minuti dalla partita, l'anima del tifo rosso è già all'interno dello stadio e in quell'area c'erano solo gli ultimi ritardatari, gente più o meno tranquilla, che rende ancora più vergognoso l'attacco. Gente tranquilla come Sean.

Il mancato intervento della polizia inglese

Quello che è successo dopo è un'altra storia, le ritorsioni, come il tifoso immortalato con un martello che è chiaramente inglese, non certo italiano. Grave invece il fatto che a fine gara un migliaio di tifosi romanisti siano stati scortati a piedi da una manciata di poliziotti tanto che davanti allo stadio dell'Everton, che in linea d'aria dista appena trecento metri da Anfield, sono stati attaccati dagli inglesi. Ribadiamo il concetto: i violenti vanno condannati, e i teppisti di Liverpool che sono i responsabili della brutale aggressione a Cox devono marcire in prigione. Ma la polizia inglese non se ne lavi le mani. Hanno colpe anche loro, sapevano e non sono intervenuti preventivamente. Tutto il resto appartiene alla follia di una notte di vergogna, come le minacce agli italiani, tra cui anche giornalisti, scovati dentro i pub ben oltre la fine della partita. Perché dopo l'aggressione a Cox, è scattata nel dopo partita una caccia all'uomo per ritorsione. Per fortuna senza ulteriori conseguenze. Ora l'allerta è massima in vista del ritorno di mercoledì a Roma, dove sono attesi non meno di 4000 supporters inglesi, tra cui un migliaio noti come facinorosi.

La condanna degli italiani di Liverpool

Addolorati gli italiani di Liverpool che in un comunicato condannano l'episodio “perché avremmo potuto noi trovarci al posto di Sean. Parlare di scontri è fuorviante, è stato solo un attacco premeditato. Da italiani ci vergognamo per quanto accaduto”. E un messaggio simile arriva dal presidente del Roma Club Dublino, Stefano Sale, che condanna “tutti quei vigliacchi pseudo tifosi responsabili dell'agguato a Sean Cox. Questi non sono tifosi, sono delinquenti. Siamo vicini a Sean e alla sua famiglia perché nessuna partita di calcio vale una vita”. Ora il  pensiero è per quel povero Sean Cox, che si è trovato nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Che la giustizia faccia il suo corso e chi ha sbagliato paghi. Poi spetterà alla società civile, adeguarsi per tenere sempre più lontano questa gente da una Curva dove il più forte fa la voce grossa, dove si litiga tra capi per uno striscione da appendere o per un coro da cantare. Sono i “fucking idiots”, come li ha definiti il presidente Pallotta, deriso da uno stadio solo perché vuole che il suo tempio del calcio sia sinonimo di bellezza e spettacolo, teatro per i bambini da poter portare allo stadio, non terra di conquista e guerriglia. Se Liverpool non ci insegna niente, rischiamo di dover vedere scene simili in futuro, perché lo stadio non può essere per chi predica violenza e odio, per chi vuole marchiare col coltello la vita degli altri. 

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