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Testimonianze dalla Striscia di Gaza

L’organizzazione umanitaria italiana Fondazione Cesvi ha distribuito 18 tonnellate di cibo terapeutico per contrastare la malnutrizione diffusa e ha raccolto i racconti dei palestinesi sfollati

Zahr non può procurarsi i farmaci né continuare le terapie mediche necessarie per i suoi problemi di salute. Ahmed non può permettersi il latte che serve al suo bambino che ha sviluppato una grave allergia. Salim a causa degli aumenti dei prezzi fatica a provvedere ai bisogni di prima necessità per la sua famiglia. La disperazione e i disagi della vita nelle tende di Masouda. Sono le voci di Gaza, testimonianze raccolte da Fondazione Cesvi, l’organizzazione umanitaria italiana che ha consegnato 180mila bustine di cibo terapeutico per salvare la vita ai bambini malnutriti nella Striscia, 23 dei quali di recente sarebbero morti per le privazioni. Persone sfollate rimaste senza nulla che provano a sopravvivere, con la malnutrizione che si diffonde e si aggrava e la carestia imminente. E che non smettono di ripetere che la loro più grande preoccupazione è prendersi cura dei propri figli e che desiderano soltanto una vita tranquilla e dignitosa, per assicurargli un futuro migliore.

Foto di Fondazione Cesvi

Carestia e malnutrizione

Oltre due milioni di persone, l’intera popolazione della Striscia di Gaza, vive in condizioni di insicurezza alimentare, per il sistema di classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare (IPC) delle Nazioni unite, e secondo Unicef la malnutrizione acuta è raddoppiata in pochi mesi, tra gennaio e marzo, soprattutto nei bambini. La carestia è un pericolo concreto per quel milione e centomila palestinesi che affronta livelli catastrofici di fame. Nel nord della Striscia e nel governatorato di Gaza City potrebbe essere dichiarata infatti già a maggio. Nel sud, dove i governatorati di Deir al-Balah e Khan Younis e quello di Rafah sono classificati come “emergenza” (livello quattro dell’IPC), la rischiano a luglio. In questo scenario, a marzo il 31% dei bambini palestinesi sotto i due anni nel nord soffriva di malnutrizione acuta rispetto al 15,6% registrato a gennaio, e nelle ultime settimane ne sarebbero morti  23, mentre, a Rafah, nel sud, in un mese – tra gennaio e febbraio – la malnutrizione acuta grave è quadruplicata, dall’1% al 4%. In soccorso dei più fragili tra i vulnerabili, Cesvi ha consegnato a ospedali e cliniche mediche 18 tonnellate di Plumpy’Nut, un alimento a base di pasta di arachidi arricchita con proteine e sali minerali, utile per i bambini gravemente sottopeso nei contesti di emergenza umanitaria, facile e sicuro da somministrare perché non va diluito in acqua.

Foto di Fondazione Cesvi

Nei tendoni

Oltre a fornire gli aiuti, l’organizzazione italiana ha raccolto le testimonianze dei palestinesi. “La nostra disperazione è tangibile. Nei tendoni la situazione è estremamente difficile, spesso ci ritroviamo a dormire su materassi sottili, cercando di tenerci al caldo con coperte scarse”, ha raccontato agli operatori di Cesvi Masouda Mahmoud Ali Wahba, che vive nelle tende a Khan Yunis, evidenziando come “anche solo preparare una tazza di tè al mattino diventa un lusso”, a causa dei rincari.

Foto di Fondazione Cesvi

Il carovita

Il conflitto rende impossibile condurre un’esistenza adeguata anche a causa del drammatico aumento dei prezzi. Per Salim Abu Nali Abu Rakal, residente del campo di Al-Maghazi insieme alla sua famiglia, il latte e i pannolini per i bambini sono diventati dei beni di lusso. “Il costo della vita è diventato anormalmente alto. Un cartone di latte costa 27 shekel, una spesa notevole per le nostre finanze” – nel nord del Paese secondo la Fao, è stato abbattuto o ucciso prematuramente il 60-70% del bestiame da carne e latte -, “e ogni giorno devo acquistare i pannolini per i miei due figli”, sono le sue parole raccolte da Cesvi. “Oggi non possiamo permetterci nemmeno due pomodori per la colazione, e anche il pane, una necessità di base, è diventato un lusso”, ha aggiunto. Il problema di procurarsi il latte affligge anche Ahmed Rashid, originario di Gaza, che ora si trova sfollato da Rafah. Ha affidato agli operatori dell’organizzazione la sua testimonianza: “Mio figlio ha sviluppato una grave allergia e ho bisogno di latte speciale per lui, ma non posso permettermelo“.

Foto di Fondazione Cesvi

Mancanza di cure

Dove l’84% delle strutture sanitarie sono state danneggiate o distrutte, secondo una valutazione provvisoria dei danni a Gaza della Banca Mondiale, dell’Ue e dell’Onu di inizio marzo, chi ha problemi di salute rischia di non aver accesso ai medicinali e ai trattamenti del caso. Come Zahr Al-Sharif, che si trova in una tenda a Rahib, vicino al confine con l’Egitto. “Soffro di problemi alla tiroide e di ipertensione. Non riesco a trovare assistenza medica e non posso permettermi i farmaci di cui ho bisogno”, riporta Cesvi. Nel suo racconto esprime un senso di abbandono – “ci sentiamo dimenticati, senza nessuno che si prenda cura di noi” – e chiede che il mondo ascolti la loro voce e trovi una soluzione per alleviare le loro sofferenze. “Non vogliamo altro che poter vivere una vita dignitosa e sicura per noi stessi e per i nostri figli”, conclude.

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