Non si parla mai abbastanza di un tema importante come l’aborto. Se se ne parla, lo si fa in maniera spesso ideologica, per partito preso. Quella di Unplanned, invece, è una storia vera, vissuta da persone in carne e ossa. In particolare dalla protagonista, Abby Johnson, ex direttrice di una grossa clinica abortista americana. Convinta di aiutare le donne nella propria “libertà di scelta”. Poi qualcosa è accaduto e Abby ha aperto gli occhi su quello che accade, veramente, nelle sale operatorie.
Ne parliamo con Federica Picchi, fondatrice di Dominus Production Est Pretiosa, che ha portato in Italia questo film.
Perché ha deciso di promuovere questo “scomodo” film sulle cliniche abortive di Planned Parenthood?
“Quando ho deciso di portare in Italia questi film mi occupavo di tutt’altro, lavoravo a Londra nella finanza internazionale e quando ho deciso di fondare Dominus Production che (adesso Est Pretiosa) l’ho fatto per portare nelle sale delle storie vere, soprattutto per i giovani. Perché credo che la verità sia dirompente. La verità non si può mettere in discussione, è la storia vera di quella persona che mette a disposizione il suo vissuto per gli altri. Quindi lo trovo di una forza straordinaria, soprattutto in un periodo come oggi dove purtroppo la menzogna anche mediatica sta rimpiazzando l’esperienza vera, reale.
Avere una storia vera che possa essere vista dai ragazzi e valutata da loro stessi con la loro testa e i loro occhi, credo che non abbia prezzo.
Unplanned è un film scomodo perché la verità è scomoda, è un film forte, perché la verità è dirompente, però è un film bellissimo, molto dolce, in alcuni punti è molto forte ma ricco di speranza. Un film che ti dà molta forza quando lo vedi, ti dà tanto coraggio ed è chiaro il fatto che siamo arrivati al punto per cui la menzogna ha le gamba corte, non può continuare ad andare avanti con questo ritmo.
Ricordiamo che Abey Johnson era una consulente del Planned Parenthood, direttrice di una delle cliniche più importanti, la più importante in Texas e lei indirettamente ha effettuato più di 22.000 aborti. Lo ha fatto perché credeva in questa missione, credeva nell’aiuto della donna. Quando per un caso fortuito si trova a vedere e vivere direttamente di che cosa si tratta, viene in contatto con questa realtà sconvolgente, che le fa cambiare completamente opinione; già c’erano stati dei piccoli segnali d’allarme qual e là, ma quel fatto le fa prendere consapevolezza di ciò che avviene. Da lì inizia un suo cammino di presa di posizione bellissimo. Perché al di là del dolore e della presa di coscienza c’è una volontà di riprendere in mano la propria vita. Di voler combattere per quello in cui si crede, che paradossalmente è l’opposto di quello che faceva prima. E quindi anche voler sfidare delle potenze apparentemente insfidabili, potenze enormi come la Planned Parenthood, finanziata da Gates, Soros Buffet: un piccolo Davide contro Golia.
La storia di Unplanned è bellissima perché fa vedere quanto possiamo ottenere con la nostra piccola forza di volontà unita alla misericordia di Dio, alla forza e alla bellezza di quello che Dio dona ognuno di noi, se ricerchiamo il bene, con cuore fiducioso e pieno di speranza rivolgendoci al Padre. E anche per chi non crede, Unplanned è una storia vera, ricchissima di spunti: dall’affettività, alla lotta per ciò che si ritiene giusto. Credo che portarlo ai più giovani sia un immenso valore che vale tutti gli ostacoli che si possono incontrare per proporlo”.
In una società in cui si fa di tutto per privatizzare l’aborto e lo si promuove con molta leggerezza, ha ancora senso mostrare storie come quella di Unplanned?
“Sì, soprattutto in una società che banalizza così tanto l’aborto sia chirurgico che chimico, ha maggior forza e importanza una storia come quella di Unplanned. Perché fa vedere tutto il range, cosa c’è dietro a questa industria e fa vedere anche i pericoli della RU 486 che è data – lo abbiamo visto anche in periodo Covid – in maniera molto superficiale, addirittura senza ricorrere al ricovero ambulatoriale. E vediamo che può avere delle controindicazioni molto forti e molto gravi, e non è corretto che la donna rimanga sola ad affrontare questo. Quindi è un film che pare gli occhi. Ed è importantissimo farlo vedere in questo momento in cui le nuove generazioni non hanno neanche sentito il dilemma se l’aborto è giusto o sbagliato, lo danno per assunto. Non viene mostrato loro cosa è veramente, non viene mostrato alle mamme il bambino nel grembo, non viene fatto sentire il battito del cuore. Viviamo nella banalizzazione della menzogna, che però costa cara proprio al cuore e all’animo di chi lo compie. Perché per quanto si possa banalizzare, produce delle ferite e tutti, anche il più acerrimo abortista, concordano sul fatto che sia un evento che lascia una traccia. Tutti, anche chi crede profondamente nell’aborto, ne parlano come qualcosa che lascia un segno. Quindi banalizzare questo segno è profondamente sbagliata anche perché la donna spesso si trova da sola e non è corretto. Ecco perché è importantissimo che questo film sia visto soprattutto dai giovani, perché è da loro che prenderà il via la consapevolezza; essi sono vuoti di ideologia, li abbiamo resi tabula rasa; vedendo le immagini da cui sono molto colpiti capiranno e saranno più bravi di noi nel comprendere e nel battersi per un qualcosa che non è corretto non solo da un punto di vista di fede o etico, ma sociale, sanitario e umano, per le ripercussioni che ha sulla mamma e sul bambino e sull’intera società”.
In Italia, in particolar modo, viviamo una forte denatalità con conseguenze importanti sull’economia e sulla società, eppure si continua a promuovere il diritto all’aborto. La storia di Unplanned riuscirà ad aprire gli occhi a qualcuno?
“La denatalità è uno dei flagelli della nostra società, lo vediamo dai dati che sono drammatici. Nonostante questo il legislatore non sta ponendo o in atto degli incentivi alla genitorialità. Le madri spesso vengono lasciate da sole, lo sappiamo perché dai dati che ci pervengono dai Centri di Aiuto alla Vita è soprattutto una questione economica la scelta dell’aborto. Dettata dalla paura di non riuscire a portare avanti l’economia familiare; una scelta spesso fatta da madri che hanno già altri figli e temono di non farcela. Data una situazione così drammatica, è assurdo che non ci sia un incentivo del legislatore verso la tutela della vita. Quando si ha un problema la donna è lasciata sola nella decisione e le si offre l’aborto invece di andare a offrire aiuto.
Sul tema della solitudine, la denatalità è frutto di una scelta sociale di isolare la donna non permettendo al padre di esprimersi. A me sono capitate personalmente delle situazioni vicine di padri disperati che volevano tenere il bambino ma la fidanzata o moglie o compagna non voleva. L’essere umano è relazione e la società tende a distruggere le relazioni più importanti rendendoci individui soli, perché vengono distrutte le relazioni di base, in particolare quella cardine che è madre figlio. Ma anche il fatto che il padre non abbia potere decisionale su quella vita, io credo che sia un danno enorme, perché quella vita ha contribuito lui stesso a generarla. E io credo che sia molto grave il fatto che la sua parola non abbia nessun valore.
Spero che Unplanned possa aprire gli occhi. E’ una storia vera e fa vedere quanto valore e quanta ricchezza e unicità c’è in una nuova vita. Non per niente è la storia vera di Abby Johnson, che quando era alla Planned Parenthood a malapena accetta una maternità e anzi dentro la clinica le offrono di ‘sbarazzarsi del problema’. Ma lei decide di portare avanti la sua gravidanza, sicura che questo sarà l’unico figlio. Dopo aver preso consapevolezza di quello che è la ricchezza e la bellezza della vita, Abby matura la decisione di accoglierla nuovamente e adesso ha una famiglia bellissima con otto figli; alcuni naturali e alcuni adottati, testimoniando la ricchezza senza pari di avere delle famiglie dove vita pullula.
Quali difficoltà incontra, se ne incontra, per promuovere i film della Dominus Production in Italia?
“I film di Dominus Production sono tutte storie vere e io le scelgo perché sono storie che danno una chiave di lettura in più rispetto alla narrazione di moda di oggi.
Il primo film che mi ha spinto a fondare Dominus circa 10 anni fa è stato Cristiada. Un film bellissimo con delle firme da Oscar, tra cui quella della colonna sonora di James Horner, nome che ha avuto più Oscar in assoluto. Anche il cast era di primissimo livello.
Questo film incontrò delle difficoltà tanto che non venne distribuito per alcuni anni perché è una storia vera, la storia della persecuzione dei cristiani del Messico ad opera del regime massonico di Plutarco Calles. Narrare la rivolta del popolo messicano contro un governo massonico era un argomento forte e non troppo commerciale da poter essere seguito nelle sale. Quando lo presi per portarlo nei cinema, fu apprezzato per la sua bellezza, per il valore artistico e contenutistico. Le prime furono pienissime in tutta Italia, la risposta fu così grandiosa che poi le sale apprezzarono il lavoro di Dominus e oggi quando chiedo una sala per i miei film tutti la concedono. Sanno che le nostre proposte filmiche sono molto curate. Io compro film dall’America, contribuisco ai doppiaggi e li immetto sul mercato e questo tipo di lavoro ha sempre un riscontro molto alto e buono”.
Ci sono altri tipi di ostacoli nel proporre le pellicole di Dominus?
“Di ostacoli ideologici ne ho incontrati molti perché il settore del cinema è molto ideologizzato e segue molto la narrazione in voga oggi, con questa falso abbattimento di limiti e false libertà. Ma al tempo stesso apprezza chi con sincerità, come Dominus Est Pretiosa, riesce ad emozionare il pubblico. Apprezzano il risultato del pubblico che è felice ed esce dalla sala ricco di emozioni. Per chi segue il cinema con passione questo è inestimabile.
Tutti gli esercenti, anche quelli più distanti, che non condividono i miei valori, quando propongo un lavoro mi aprono sempre le sale e sono contenti perché sanno che ci sarà una bellissima risposta di pubblico. E questo è importante, perché è un momento difficile anche per il cinema. Perché abbiamo distrutto tutti i valori, tra cui anche quello della visione di sala, con tutte le copie pirata, le piattaforme online, ormai si tende a distruggere a banalizzare a minimizzare. Invece io credo che la visione in sala sia qualcosa emozionantissimo, anche se un po’ d’essai, ma i cultori del cinema sanno a che cosa mi riferisco. E credo che sia importante preservare e proteggere questo piccolo gioiello della condivisione di storie vere nelle sale”.
Non resta quindi che aspettare Unplanned nelle sale i prossimi il 28 e 29 Settembre.