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Lo sport per essere d’ispirazione agli altri: il sogno di Amelio

Amelio Castro Grueso è il primo atleta residente in Italia convocato dalla squadra paralimpica dei rifugiati per i Giochi paralimpici di Parigi 2024, al via il 28 agosto. Interris.it lo ha intervistato sulla sua storia e su cosa lo motiva

Classe 1992, una vita che ne vale tre per ciò che ha vissuto e ancora tanti obiettivi e progetti nel cuore e nella mente. La passione, la perseveranza e la fede animano Amelio Castro Grueso, primo atleta residente in Italia convocato dalla squadra paralimpica dei rifugiati per le Paralimpiadi di Parigi, dove gareggerà nella scherma in carrozzina. Punta alla medaglia più preziosa, ma per uno scopo più alto che la vittoria sportiva. Per lui, come gli altri atleti e atlete di questa selezione, la gara è il loro riscatto.

La compagine più numerosa

Otto anni fa, a Rio 2016, la squadra paralimpica dei rifugiati era composta da appena due atleti. Alla scorsa edizione dei Giochi, sono stati sei. Questa volta sono in otto a rappresentare di tutti i rifugiati del mondo. Sarà la prima selezione a sfilare nella cerimonia di apertura tra gli Champs-Elysées e in Place de la Concorde, sotto la bandiera del Comitato paralimpico internazionale, guidata da Nyasha Mharakurwa, già rappresentante dello Zimbabwe nel tennis in carrozzina a Londra nel 2012. Loro sono Hadi Hassanzada e Zakia Khudadadi nella disciplina taekwondo paralimpico, con la seconda che pochi giorni dopo la fuga dall’Afghanistan ha gareggiato a Tokyo 2020, poi lo sprinter con disabilità visiva Guillaume Junior Atangana, che sognava il calcio prima di perdere la vista, correrà i 100 metri e i 400 metri T11 insieme alla sua guida e compagno Donard Ndim Nyamjua, rifugiato anche lui, dopo il quarto posto ai Giochi Paralimpici di Tokyo. Terza partecipazione consecutiva per Ibrahim Al Hussein come rappresentante della squadra paralimpica dei rifugiati, dopo essere già stato portabandiera nel 2016. Senza una gamba a causa di un’esplosione, in precedenza nuotatore paralimpico, in questa edizione competerà nel triathlon paralimpico. Seconda apparizione invece per
Salman Abbariki, dopo quella di Londra 2012. E quell’edizione ha fatto sognare anche Hadi Darvish – powerlifting paralimpico -, che dopo aver passato due anni in un campo rifugiati al suo arrivo in Germania, senza nemmeno un conto in banca, ora è a Parigi. Con alle spalle i campi profughi e il presente in Germania anche Sayed Amir Hossein Pour, tennis da tavolo paralimpico, nel suo palmares due medaglie d’oro ai Giochi Asiatici Giovanili Para 2021 in Bahrain. Dall’Italia Amelio Castro Grueso, un passato difficile in Colombia, medaglia di bronzo nella categoria B della spada maschile al Campionato delle Americhe di scherma in carrozzina 2024 in Brasile a maggio. “Ognuno di questi atleti ha superato enormi difficoltà per arrivare fin qui e ha un messaggio convincente da condividere con il mondo. Sono tutti grandi campioni dello sport“, ha detto il presidente del Comitato paralimpico internazionale Andrew Parsons.

Lotta e perseveranza

Sono otto storie di fughe per salvarsi la vita e di difficoltà, sia fisiche che esistenziali. Quando Castro ancora viveva in Colombia, a 16 anni, ha perso la madre, poi quattro anni dopo anche l’uso gambe, in un incidente stradale che lo ha costretto a lungo in ospedale.  “La mia vita è lotta e perseveranza”, dice a Interris.it in collegamento dal Centro per le risorse, le competenze e le prestazioni sportive di Reims. “Fin da ragazzo ho dovuto lottare, ogni volta che andavo avanti mi si parava di fronte un ostacolo. Sono una persona che se ha una passione non molla finché non arriva dove sente di dover arrivare”. Fino a giungere a Roma, Italia, dove per un periodo trova ospitalità grazie alla Caritas. Adesso alloggia nel Centro del Sistema accoglienza e integrazione di secondo livello a Centocelle, sempre nella Capitale.

Dall’ospedale alla pedana

La scoperta della fede ha portato Castro dal letto d’ospedale alla pedana dove, in carrozzina, tira di scherma. “Quando ho avuto l’incidente mi sono chiesto perché mi fosse capitata una cosa del genere” – continua – “poi ho compreso che qualcuno, Dio, mi era sempre stato vicino”. Il futuro atleta comincia a pregare. “Volevo scrivere un libro per raccontare la mia esperienza ed essere d’ispirazione per le altre persone, ma mi sono domandato ‘perché qualcuno lo dovrebbe leggere’?”, racconta, “così ho chiesto a Dio di darmi la possibilità di trovare uno sport per raggiungere quei risultati che convincessero le persone a leggere il libro”. Prova con la pallacanestro, ma la scintilla scocca al secondo tentativo: “La scherma mi ha catturato con la bellezza di questa disciplina e della sua gente”.

Il primo dall’Italia

E la sua “gente” oggi sono il suo allenatore Daniele Pantoni, delle Fiamme Oro-Polizia di Stato e gli atleti del circolo sportivo della polizia di Tor di Quinto. Lui stesso, che oggi ha lo status di rifugiato, è tesserato con le Fiamme Oro. “Loro sono la mia famiglia, mi hanno dato l’opportunità di allenarmi e tanto supporto”, dice Castro. Tanto da arrivare a essere il primo atleta chiamato dall’Italia a far parte della squadra paralimpica dei rifugiati. “Questa convocazione mi emoziona molto”, continua, “vivo in un centro di accoglienza insieme a tanti ragazzi che a volte perdono un po’ la speranza. L’essere stato scelto può far capire agli altri che, pur con tutte le difficoltà che abbiamo, con l’impegno e la disciplina si possono raggiungere risultati”.

L’oro olimpico o la medaglia nella vita

La volontà di essere di esempio per dimostrare che ci si può sempre alzare dopo una caduta, anche più di una, e quindi di essere d’aiuto al prossimo, è molto forte in Castro. Il messaggio che vorrebbe lanciare con il suo libro, in cantiere, è sull’importanza “della perseveranza, della passione e soprattutto del rispetto per gli altri”, evidenzia. “A volte manca un po’ di empatia, siamo tanto presi dai nostri problemi che ci dimentichiamo di quelli altrui”, osserva. Per un atleta ovviamente l’obiettivo della carriera è la vittoria della medaglia più preziosa, ma per tutti gli esseri umani l’esistenza è una grande serie di prove da affrontare dove non conta arrivare primi, ma semplicemente arrivare. “Per me la medaglia più importante è l’oro olimpico, anche perché vincerlo è parte di un progetto con cui voglio ispirare tante persone”, riflette l’atleta, “ma so che la ‘medaglia della vita’ è la cosa più importante. Tante persone non partecipano a competizioni sportive ma sono vincenti nella gara con sé stessi. Sono i campioni invisibili”. Il tempo dell’intervista scade, arriva il momento di congedarsi. “La convivenza con gli altri atleti è molto bella, ci troviamo bene grazie anche a un meraviglioso team tecnico e amministrativo”, conclude, salutando dal centro sportivo di Reims.

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