La “smiling depression” o “depressione sorridente”, patologia individuata di recente e diffusa in tutto il mondo, riproduce le sintomatologie dell’ansia, della disistima, della tristezza; per nasconderle si mostra un viso apparentemente gioioso e un atteggiamento di copertura. Chi ne soffre, infatti, tenta di assumere una maschera sociale, di non far preoccupare il prossimo al fine di non risultare debole. Altre volte ha timore di presentare il suo disagio, di scadere nel protagonismo, per cui somatizza e finge.
La smiling depression ha la particolarità di non mostrare, all’esterno, i sintomi classici della depressione, sia dal punto di vista dell’umore sia da quello fisico (viso triste, sguardo spento) sia dell’impegno e delle relazioni interpersonali. Lo stress, un rapporto alterato con il cibo e il sonno, l’irritabilità, l’insicurezza, l’affaticamento, il calo di autostima devono essere abilmente celati. Gli esperti la identificano anche con il nome di “depressione atipica”.
La depressione, così mascherata, nasconde (spesso solo in parte) il profondo malessere psichico di chi ne soffre e ha pudore di mostrarla agli altri, anche ai familiari. Il rifiuto nasce, a volte, anche dal desiderio di non voler coinvolgere o preoccupare le persone più care.
Il celare, tuttavia, ha come conseguenza il pagamento di un prezzo molto alto e non è, come dicono gli esperti, il modo per uscire dal disagio, anzi, si è coinvolti maggiormente, in modo graduale e silenzioso. La soluzione è nel non aver timore a confessarla al prossimo, di liberarsi di tanti conflitti interiori e di procedere verso una condotta di vita più sociale, attiva e aperta alle nuove opportunità.
Il drammaturgo siciliano Luigi Pirandello ricordava “C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno”.
È difficile, per chi osserva, comprendere tutto il malessere che si cela dinanzi a un sorriso costruito con grande fatica e scollegato dal vero umore. Questa patologia coinvolge anche persone “insospettabili”, che conducono una vita familiare e lavorativa normale, il cui comportamento esteriore non lascia intravvedere alcunché. Non si tratta di individui coinvolti in situazioni ambientali disagiate o con seri problemi adattivi.
Il loro disagio, compresso all’interno, sfocia nei momenti in cui si ritrovano soli, a rimuginare, senza qualcuno con cui confrontarsi (psicologi, amici o parenti) e alleggerire il peso del disturbo.
La dottoressa Olivia Remes, ricercatrice all’Università di Cambridge, ha approfondito lo studio attraverso una pubblicazione sulla rivista The Conversation, stimando tra il 15 e il 40% i casi della depressione sorridente.
Il 5 ottobre scorso, l’Unicef, al link https://www.unicef.it/media/
La chiusura, molte volte, dipende dalla convinzione di poter riuscire a risolvere da soli e, in breve tempo, senza l’aiuto di specialisti e cure; ciò contribuisce a rendere tardivo l’intervento risolutore. Oltre alle cure farmacologiche, sono importanti quelle del prossimo (verso il quale non nascondere il disagio e confidarlo), per porlo in condizione di esprimere la massima empatia, sino al livello più alto, quello della compassione. Questa è intesa nel suo vero significato, non quello di provare pietà bensì di condividere concretamente la sofferenza.
Le gravità di questa patologia non è da sottovalutare poiché, a fronte di un’immagine forzatamente positiva, si nasconde un disturbo profondo, di abbandono e senza conforto alcuno, in grado di condurre a soluzioni disperate. È importante, per il familiare o l’amico della persona in difficoltà, riuscire a percepire e comprendere il minimo indizio della malattia, intervenendo, innanzitutto con il dialogo, per sviscerare la problematica.
Per mascherare il dispiacere, queste persone depresse cercano di ostentare il più possibile un’apparente felicità e, nello sforzo, per loro titanico, rischiano di andare oltre i canoni normali e di intraprendere una vera campagna di simulazione della gioia. Nella società dell’apparenza e dell’immagine, essere felici è una chiave di successo e di accettazione sociale, per cui è doveroso mostrare sempre il lato vincente e gioviale. Tale fenomeno si rispecchia anche nei social, dove è necessario, pena la bollatura sociale, esibire, nel proprio profilo, immagini di festa, di continuo divertimento e di successo.
Questo atteggiamento, abbastanza diffuso in rete, finisce per alimentare un modo sempre più falso e, nel caso specifico della patologia, a marcare, ancor di più, il confine tra la difficoltà e l’aiuto, tra la sofferenza e la parola di salvezza, tra chi nasconde il malessere e chi non ha il sentore del prossimo così tormentato.
L’invisibilità è propria di questa depressione sorridente ma è anche il filo conduttore di tanti malesseri che non risultano all’occhio e al cuore, spesso distratti da altri aspetti.